Perugia, buongiorno! Per amare veramente una città “non deve essere madre ma amante” scriveva Pavese. Così scriveva Cesare Pavese sul suo diario; Pavese, langarolo doc e innamorato del capoluogo torinese con i suoi km di portici, ideale per passeggiare in qualsiasi condizione atmosferica. Cosi leggiucchiavo tra le mazzette dei vari quotidiani presenti ieri su uno dei tantissimi tavolini, in uno dei bar perugini, dalle parti dell’Università . E allora amiamola questa benedetta citta’, afosa ma insieme opera d’arte, musica, da ascoltare e citta’ ancora da leggete con libri da scambiarsi. Ora, il capitolo di questo viaggio volge quasi al termine. Ma momentaneamente. Certo non si finisce mai di conoscere una persona, una cosa, una città come una disciplina ma Perugia mi è decisamente piaciuta. Fin da subito. E molto anche. È davvero una città giovane. Universitaria e universale. In esposizione. Le cose che mi resteranno dentro sono tantissime (e certo ho già messo in conto un ritorno) ma oggi per questo blog mi soffermero’ sulla descrizione di cose… “perugine” nel senso di… più… leggere. In parte (bacio, scritta muraria, bici). Come la sua metro, appunto (Fontivegge, stazione ferroviaria, Cupa, destinazione),
. Estate, “aperta per amori” fin dall’adolescenza, con l’affiorare della soglia del desiderio e quindi, tempo di baci e bacio che non sia il classico, al cioccolato.
E quando l’amore cresce qualcuno trova anche tempo e modo di dirlo apertamente e scriverlo gridandolo sui muri cittadini che poi l’amore è vita e altro non si possiede (“ha” nelle intenzioni dell’autore, frase però già brevettata e cantata nelle Chiese).
E quando “l’amore c’è ” o è ci si mobilità. Tutti. E’ l’elogio della mobilita’. In bici, in due senza mani, parcheggiandola poi chissà dove, anche sul muro se necessario.
E se poi non fossero disponibile, bici e muro, bhe’, in fatto di mobilità qui la sanno lunga anche se in… “mini”.
Perugia è davvero giovane ed il titolo lo merita tutto. Quale? Capitale italiana dei giovani 2016.
A parte questo e’qui presente una importantissima e conosciutissima Universita’ per stranieri. E poi qui davvero tutto potrebbe essere arte. Vederla e metterla da parte.
E ascoltarla, perché qui è musica dolce
. Molto.
Anche Perugia, la bella statuina della fontana ci ricorda l’importanza delle arti. E anche la lettura fa la sua parte o due. O in due. E poi, non e’ questa la patria di Sandro Penna? E poi, qui, il tempo è nostro. Dimentichiamoci l’orologio.
E allora, che dire? Buon viaggio e… visitate Perugia.
Ora colazione… giornali. E… andare. Ultimissima cosa. Qui a Perugia…
Archivio mensile:luglio 2016
Perugia
Perugia
batte Roma. In fatto di caldo!
Dunque oltre le foto, alcune, le postero’in seguito, dopo aver visitato nell’ordine visita alla Galleria Nazionale dell’Umbria, per vedere il “Perugino” la sua scuola e…. oltre, Cattedrale con annessi e connessi, Fontana e architettura. Questo almeno dopo una abbondante colazione al caffè Fortebraccio.
Ah, qui le bustine di zucchero sono riposte in una tazza sul bancone ed hanno sull’estrno, diversamente da come capita per le frasi dei bacetti perugina. Intuibile facilmente il perche’. Cosa mi sara’ mai capitato nella mia? “Mi sono buttato dentro di te come fossi stato, all’improvviso, spintonato” (A. Pazienza). “Santa pazienza”, esclamo io . La apro, verso il contenuto nella tazza del cappuccino, mescolo “bene-bene”e bevo, meglio, “sorbisco”. Esco dal bar, e cerco l’edicola, per una antica abitudine di comprare e informarmi dai giornali locali, la realtà territoriale in cui vivo, anche solo per pochi giorni: “ecco signore, il Corriere dell’Umbria”, e l’edicolante mi allunga il quotidiano
.
La Cattedrale è qui a… una decina di gradini. Ci entro.A sinistra, entrando, all’incirca a metà della Cattedrale, la lunetta di Giannicola Di Paolo (Cristo risorto) e appena dotto la Vergine che implora Cristo nel salvare il popolo perugino implorante (1500 circa). Vedre in alto post del blog. Una visita attenta (e’ stupenda) e… poi il “Perugino” e il suo allievo Giannicola Di Paolo, con affresco della Madonna Della Grazia del XVI secolo racchiuso in un tabernacolo neogotico con cornice dorata del 1800 circa (lato destro entrando).
per una buona oretta
concentrato solo sulla fontana e suoi significati per cercare di interpretarla, individuare personaggi e storie e mesi e cicli della natura e raccolte varie. E poi trovare la bellissima “Perugia”…
nella seconda fontana. La Fontana Maggiore e’ uno dei principali monumenti di Perugia databile intorno al 1275-1278 costruita da Nicola e Giovanni Pisano. Si trova in fondo al corso principale, in piazza IV Novembre. Corso che di sera si trasforma in un flusso continio di ragazz* direzione fontana, scalini della cattedrale, piazze varie, piccole pizzrtie al taglio lungo il braccio sinistro e il corso parallelo. Corso che presenta al suo centro, meglio, pancia, un grumo di locali raffinati che rappresentano la tentazioni di quanti la propria pancia dovranno pur calmarla. La fontana fu progettata in stile gotico e rovinata dal terremoto del 1348. E’ stata realizzata in pietra d’Assisi e la mia attenzione-su di essa consisteva nel sottoporre a verifica le mie conoscenze sui 50 bassorilievi e 24 statue con cui dono state ornate le due vasche. Onestamente poche, pochine, quelle di mia conoscenza. Nella vasca inferiore sono rappresentati i mesi dell’anno e i segni zodiacali e scene di tradizione agraria feudale e po
i arti liberali e personaggi biblici: San Pietro, San Paolo, San Lorenzo, Davide, Salomone, Mosè… Poi Università e musica, arti, retorica.. . E qui fiorisce in ogni dove. Nei pressi di un oratorio tra chissà quali scale “metriche” e non solo e “archi” sono stato invitato ad ascoltare Mozart e per uno che non ne capisce nulla… bellissimo! Poi, un salto presso l’ Università e circa diecimila gradini e qualche centinaio di archi
. Ancora una volta Nel pomeriggio…. Assisi. Una Audioguida e vai con Giotto!
A Perugia
Per molto tempo ho abbinato il nome di questa bellissima città umbra, Perugia
, alle caramelle. Poi, crescendo, ai baci, commistione baci-baci, quelli di cioccolata scambiati dopo i” baci-baci” e subito aver staccato labbra e scartato la prelibatezza a leggerne le cartine, quei micro temi di 4 parole che cullano il buonissimo cioccolatino. Senza disperderlo perche’ poi doveva essere attaccato sul diario di scuola! Poi lo legai alla cioccolata più consistente, in tutte le sue forme e alla manifestazione successiva organizzata dal comune in suo e loro onore, quando Torino, verso la fine degli anni 90 cominciò ad “organizzarla” per… Perugia!! Un po’ come preparo’ radio e tv per Roma e la moda per Firenze. E il libro per Milano. Ancora cominciai ad abbinare il nome della città ad uno spareggio calcistico Torino-Perugia, poi all’Università, belle ragazze belle donne… nel 2016 ai giovani (Perugia capitale italiana giovani 2016)
e oggi alle scale
!!! Quante ne avro’ fatte?Boh! Fortunatamente esiste un metro’ leggero che è una cosa spaziale ed evita così di andare in affanno. Un figata! L’ho provato il mini metro’ o “capsule” senza pilota e così le centinaia di gradini. Data la vicinanza ad Assisi una toccata e fuga, e Giotto stavolta non è scappato dalle pareti. Avrò modo per scriverne. Non ora pero’ che le gambe sono chissà dove! Perugia di sera è uno spettacolo. E a proposito di spettacolo non mi faccio scappare una bella orchestra
e bellissimi panorami
. Una bella suonata e… buonanotte! Perugia….by night
Firenze
Era da un po’ che mancavo da Firenze. 12 anni? Troppi. Molti. Forse a ripensarci bene 10. La data e’ potrebbe essere quasi giusta. Cosa mi portava qui? I concerti dei Nomadi, la politica, il festeggiamento della tesi, un cambio treno per Pisa o la Garfagnana o verso Roma. Forse. E così stamattina freccia direzione “Fire”! come usa dire qualcuno.
Nel tragitto del treno Torino Firenze, tre ore di viaggio, non mi son fatto mancare le mazzette dei giornali, come d’abitudine, sia che parta, sia no, e un buon libro. E facciamo pure due. La cronaca induce un’attenta riflessione sullo sdoppiamento della fiera o salone del libro. Le viaggiatrici, altra riflessione. Riflessioni sul viaggio del Salone del libro che resta a Torino e più “leggero”, forse, sdoppiato in “LeggeRho” ma divenendo cosi altra cosa. In ogni caso, la trentesima edizione del salone del libro si terrà a Torino. Come e in che forme vedremo. Ma non vorrei parlare di questo ma di un altro argomento: cosa metteranno mai le donne in quei valigioni con rotelle che si incastrano tra un sedile e l’altro causando un ingorgo lungo il corridoio dei treni. A quel punto scattano le occhiate al biglietto e poi quelle fra maschi che cominciano a chiedersi di chi sarà la volta. Succede che poi, velocemente inquadrano un uomo che a sua vola inquadra la donna e senza sapere bene da chi parta la richiesta l’uomo si trova tra le braccia… il valigione mentre da sotto il coro femminile diviene più forte:”più su, ecco, a destra, a sinistra” e naturalmente avendo spostato di qualche millimetro altro borsone ovali gia, partono veloci i cori di allineamento”. Poi, mentre chi è seduto recupera respiro prova a chiedere con fiducia e speranza a chi e’ ancora in atto di trasloco:”scusi, dove scende? “Ecco, sarei molto interessato a saperlo, così, per un racconto futuro. Scarpe? Trucchi? Magliettine di ogni tipo? Bho!
Ps. Il Duomo è davverostupendo. A pensarci bene i dieci anni di assenza forse valgono doppio. Forse.
Giovanni e la radio
Nella” rimessa”l’odore della benzina agricola era forte e nauseabondo. A terra, sul pavimento spartano, una doppia striscia di olio faceva intuire che il trattore era stato posizionato fino al fondo, lasciando cosi pochi centimetri di spazio tra il muso e il muro. Tra l’entrata e il posteriore del trattore un paio di metri buoni permetteva il passaggio ora a destra ora a sinistra dove una porta sempre chiusa collegava questa rimessa col resto della casa. Rigorosamente bianca. Al lato destro del locale enormi recipienti contenenti orzo e grano e attrezzi da campagna in attesa di qualche altro raccolto. Due sedie ed una finestra. A sinistra recipienti di olio e vino. E quest’ultimo, a dire il vero a sentirne l’odore, molto probabilmente poteva essere aceto. Sul trattore una gallina aveva approfittato del portone aperto e si era posizionata sul sedile. E covava. Gli odori non si facevano certo mancare tanto che neanche Rocky, il cane di casa, aveva piacere a sostare e anche la presenza umana che in quel momento ne registrava l’assenza lasciava le sue tracce con un cappello di paglia, pantaloni sfilacciati e camicia a quadrettoni leggera. Un paio di stivali ai piedi di tutto cio’. E poi cestini in vimini intrecciati un pallone bocce e boccino: presenza di qualche ragazzo che ora probabilmente aveva trovato nuovi e più “attraenti” giochi. Faceva fresco li dentro dove il sole non entrava mai. Negli anni precedenti si raccontava che erano in molti a cercare riparo. Da cosa non e’ mai stato chiarito. Ma il luogo eletto era la sedia con la radio. Era il periodo delle radio libere. Una storia dell’estate di 40 anni fa. Adagiata su di una sedia al fianco di un’altra sedia libera. Giovanni, mezzo cieco, adagiava la mano sinistra sul bastone e con la destra girava e rigirava la manopola bianca della radio alla ricerca di qualcosa di interessante. Era impressionato da tutti quei mondi racchiusi in quella scatola. Era felice e quando una musica andava si alzava e accennava passi di danza dall’alto dei suoi 80. Ma non erano passi: in realta’ stava fermo, cioè. E anche la sua Paglietta si muoveva sul suo capo calvo. Fino a pochi anni prima si raccontavano nello stesso luogo antiche storie popolari e si cantavano in dialetto canzoni dei tempi andati. Tata Giuanni era uno spettacolo e un’attrazione per tutti i bimbini del posto che non andavano solo per osservare Giovanni e i suoi movimenti ma soprattutto per ascoltare tutti quei programmi che uscivano dalla scatola inframezzati da tanta pubblicità. E quel concerto provocato dal movimento di due manopole era una festa libera per tutti. Cioè, radio libere e commerciali per tutti. Un pensiero oltre a questo racconto è andato alla stesura di una ricerca, sul 1976, RadioBra Onderosse e tutta la sua storia e quella di Carlo Petrini e Azio Citi, verso Livorno alla ricerca di un… carrarmato americano abbandonato. Poi passarono gli anni insieme alle radio, ai pretori che chiudevano e riaprivano radio e… ed il resto lo conosciamo. Ma forse la storia di Giovanni detto “tata” non la conoscevate. Poi passarono altri anni, 5, e Berlinguer ci disse qualcosa sulla questione morale. Tempo passato o presente?
Dalla radio…. un amore senza fine.
Lecce-Torino
Lecce 10. 55-Torino Porta Nuova 21. 40. Frecciabianca. “Le cose che esistono sono tutte belle”, così sento dire all’attore principale de “La meglio gioventu”, cioe’ Luigi Lo Cascio. Un film che racconta 37 anni di storia italiana. Avevo appena posato la chiave di casa sul tavolo da lavoro, dopo aver aperto e richiuso alle mie spalle la porta, posato zaino e zainetto sulla “cassapanca”, aperto porte interne e acceso la tv… quando…
La meglio gioventu’ andava in onda per l’ennesima volta ma non importa e non so e non mi pongo fino in fondo la domanda per quale motivo il film mi piaccia cosi tanto al punto da adorarlo. Che sia merito di Giorgia una delle protagoniste? Diciamolo: ho sempre avuto un debole per Jasmine Trinca come ho già scritto più volte per “La stanza del figlio” quando interpretava Irene e ora Giorgia. Un’interpretazione magistrale. Segni particolari, bellissima anche coi capelli corti. Che sia Torino? Diciamolo, alcune scene girate a Torino sono davvero stupende. Che sia la medicina? Diciamolo, sono affascinato da quei camici bianchi, sia dopo, la specializzazione, sia prima. E poi la medicina, le cure, la psichiatria…. non so. Interessante. Non so. Ancora. Adoro il film, a tutto tondo. E allora tutto fermo, zaino e zainetto, luce spenta, fresco e porte interne aperte, affondo sul divano, per vedere quel po’ di film che resta da rivedere. Di tanto in tanto la nenia del treno accumulata fa sobbalzare le mie gambe, come lo fossi ancora, su quel treno, nebbia dolce a scatti per metà che mi accompagna mentre sono disteso sul divano, un po’ come capita alle lucertole che continuano a muoversi… nonostante. E mi fermo per non urtare certe sensibilita’. Terminato il film il cellulare si accende. Un messaggio. In quel preciso istante penso a “Cane”, personaggio del libro della, “La femmina nuda” della scrittrice-giornalista Elena Stancanelli. Roma, Ostia, amore malato e molesto. Non e’ lei e neanche Cane e nemmanco quei ricordi del libro da poco ultimato. È la notizia che un’amica parte. Direzione Argentina. “Hanno deciso così”, mi scrive. Che posso dire? Ci siamo incontrati e abbiamo avuto modo di conoscerci. Gli altri no. E quindi siamo stati fortunati. Vorrei trovare le parole giuste e frugo nelle tasche del cervello, in altri addii o saluti, magari non voluti. Il nostro cervello, quando decide, si basa sull’85-90 per cento di quello che ha imparato con l’abitudine. Ma non trovo altre parole. “Devo andare. Questione di “obbedienza”. Mi spiacerà come a tanti altri privarmi della sua amicizia. Un sentimento comune. “Va dove c’è bisogno”, dicono. “Vado dove il bisogno chiama”, dice. Non trovo le parole adatte al conforto se forse ve ne fosse bisogno. Zero parole, muto. Come nella mattinata di ieri: dopo aver lasciato zaino e zainetto nel vagone, posto, sedile sceso per una boccata d’aria aggiuntiva sulla banchina della stazione. Due passi. Mi allontano. Ricontrollo il biglietto: vagone, posto, sedile. Salgo. Non ‘era più nulla. Controllo ricontrollo. Il treno stava per partire. E mentre mi preparavo a dire addio a zaino e zainetto mi accorgo di aver sbagliato vagone. Avevo perso le parole. Come ieri sera. Ho perso le parole. Non so che dire. Anzi si. Solo le cose che esistono sono davvero belle. E ne ho viste davvero nel viaggio Lecce-Torino fuori dal finestrino. Il film termina. La fame mi manda richiami della foresta che salgono su dallo stomaco. “Mi farò una frisella”, penso. Ecco, si, una frisella. Portata secondo la leggenda da Enea in Italia. La frisella. Appena appena bagnata, pomodoro, olio, sale, origano. Ecco, una cosa che esiste. È bella. E buona.
Lecce, stazione di Lecce
C’era la pioggia nel pineto, questa mattina. E la terra sprigionava i suoi profumi e cominciava a dare i suoi primi frutti mentre il mare conduceva i suoi fino a me con leggerezza e a bordo di un venticello
. La luna nei giorni scorsi, con le sue gambe divaricate ha partorito notti bellissime e mentre la musica o “lu rusciu te lu mare” le ha rese ancora piu’ belle e goderecce. Paesaggio “pascoliano”, molto intimo, e’ stato il primo pensiero. Pascoli cominciai a studiarlo con occhi attenti quando cominciò “il tempo delle conchiglie”. A dirla cosi sembrerebbe un film sugli amori adolescenziali. Forse solo sull’amore. Che bisogno c’è di declinarlo? Salutati velocemente amici e vicini (che mi dicono: “ce sta faci, sta parti? Allora si cujone”) creando cosi un’ennesima occasione di risata e Porto Cesareo con le sue casette basse poste tra terra e mare mi dirigo velocemente verso Lecce dove è in attesa il treno per Torino. Un disegno lungo le strade di Porto Cesareo mi ha rammentato il significato di un vero viaggio e per il tempo (gli occhi, Proust, anche questo e’ a corredo del tempo delle conchiglie) che ho disponibile voglio gustarmi un po’ di queste bellezze salentine. Certo non mi faccio mancare il solito giro in centro,
al Duomo, davanti all’anfiteatro,
” con occhi da poeta” gustando ancora una volta, alla faccia della dieta, un pasticciotto. Un giro e il tempo stringe:
le 11 si avvicinano e alla stazione dovrò pur arrivare. In città frotte di turisti carte geografica tra le mani. Un cartello in città ci da il suo benvenuto. Nessun problema: il treno è li ma è solo una piccolissima parentesi.
25 luglio
25 luglio, una data che nelle spiegazioni, a scuola, è fondamentale, così come l’8 settembre. E anche durante l’ultima maturita’ le due date sono state sviscerate dai candidati, su richiesta del commissario. Ma oggi e’ 25 luglio 2016. Come sempre Caronte si è affacciato e ha caratterizzato la giornata rendendola ulteriormente pesante e faticosa. In spiaggia, chi passeggia e chi sonnecchia e il caldo la fa da padrone. Asciugamani colorati sottolineano ed esaltano ulteriormente la bellezza dell’estate. Tutti in forma e prove costume ampiamente superate. Poi, se qualcuno no, “chissene… ” direbbero i miei studenti. Le conchiglie sulla sabbia e deposte sulla riva inanellano numerose perle, e certo anche quelle sotto l’ombrellone cappello in testa non si fanno mancare. E’ bellissima questa luce che si insinua in ogni dove
. Sulla spiaggia, verso l’ora del tramonto, son riuscito a trovare qualche lettrice, al riparo dal sole sotto gli ombrelloni, immersa nella lettura e pagine di qualche bellissimo libro
. Oltre che di crema solare. Il mare o le sue onde che si accavallano e ricamano trame bellissime con il filo dell’acqua e della schiuma rimandano ai miei piedi qualche conchiglia proveniente da chissà dove, chissà quali terre. Ne colgo una e la avvicino all’orecchio rimembrando un gioco passato. Dal suo interno si propaga una musica, “Tu come stai” mentre il mare fa la sua parte. “Gioco con i punti cardinale e immagino la Grecia, la Calabria, l’Africa, il mar Adriatico, poco più su. E chissà che la conchiglia non giunga proprio da li. “Qual e’ il più bello tra lo Jonio e l’Adriatico dal tuo/mio punto di vista?” provo a domandarmi. Un po’ come chiedere per quale squadra tifi o la classica domanda posta ai bambini: “vuoi più bene a mamma o papa’? ” A me piace tantissimo questo mare ma Santa Mara di Leuca dove confluiscono i mari creando quegli effetti ottici così particolari non scherza cosi come non scherzano i colori di Otranto. E se dovessi pensare ad un posto dove stare sempre forse direi…. nel faro!!! Come classe, come scuola, come cattedra. E forse anche la conchiglia ci starebbe bene, nella macchina della luce. Qui che e’ Salento dove mare e terra si confondono, tra ulivi, viti e muri a secco e masserie.
Torno sulla conchiglia che innesca una trama di ricordi e diviene per me una penna per inanellare racconti. Un po’ come aprire una cassapanca, coi suoi ricordi…”Cup o tea” direbbero gli inglesi.
L’Aura… birra
Dalla collina o “il monte” come lo chiamano quaggiu, che poi e’ zona Belvedere, la fila di macchine proveniente dall’entroterra pare un lunghissimo serpente che si snoda, direzione spiaggia, libera o in concessione. Al solo pensiero di quanti “attrezzi” siano contenuti in quegli abitacoli di macchine (palette, secchielli, rastelli… ) si capiscono i perche’ e i per come le costruzioni siano arrivate fino ai piedi del mare frenando così sabbia e spiaggia libere. Oramai. “Cosa resterà di questi anni ’80”? cantava Raf. Ebbene, ecco. O cosa non restera’. In ogni caso abbiamo i Pokemon e i 200 volte al giorno in cui guardiamo il cellulare mentre il buongiorno e il buonasera “chissa’ dove e'” o chissa’ dove sono, cantava Vasco Rossi.
In uno dei tanti stabilimenti si canta e si balla al ritmo di Cecchetto e tutti cantano “ballare, mangiare, dormire… “. Tempi che cambiano. Il tempo mette in prospettiva persone, personaggi, cose e ricordi e anziché ombrati ai nostri occhi divengono più nitidi. Nonostante la luce obliqua infinita. Il mondo cambia e così il modo con cui si rileggono le cose andate, passate, finite o quasi. Ma anche no, forse. Pero’ ci sono anche le cose bellissime, da fare, da ricordare. Le sagre, il vino e Laura, birra. Perdon, l’apostrofo. Artigianale e salentina. Bhe’ ora un bagno si rende necessario, tra danzatori d’acqua, nuotatori di professione e campionati mondiali di racchettoni permettendo. Poi, finalmente il mare. Grande bellezza.
Dal “ficarolo”, la “fica”
Che dire della giornata calda, lunga e un pochino “stropicciata” di oggi? A Bacino Grande governava il caldo. A Porto Cesareo il caldo la faceva già da padrone alle 7. 30. Qui e’ l’imperatore e da queste parti non e’ solo uno che detiene il potere nell’arco della giornata nell’attivare o meno un condizionatore o un ventilatore ma un vero “zuccherificio”: è infatti il nome di un bar pasticceria vicino alla oramai famosa statua di Manuela Arcuri. Ricerco un giornalaio adiacente la spiaggetta, quella tanto per intenderci con i pini e la sabbia, detta spiaggia dei bambini, quella riprodotta da migliaia di cartoline e conosciuta per il mondo intero
. Un tempo. Oggi immortalata dai selfie. Entro e mi rifornisco di mazzette di quotidiani. Gli ombrelloni sono chiusi
ma la gente corre alla ricerca di qualche fazzoletto di sabbia all’ombra dei pini. Imbocco la via del Corso e decido di fare incetta di pasticciotti presso l’Imperatore e i Bei tramonti e terminare il “dolce lavoro” sul lungo mare davanti all’Isola dei Conigli, come un post di qualche anno fa. Ritrovo con piacere “ecstra” il “ficarolo”
che mangia, e gli chiedo quali tra le sue bonta’ sta gustando così piacevolmente e con gioia e mi risponde:”la fica, la fica. Ni vuei una? “(ne vuoi una? ) e me ne allunga una. E già perché da queste parti il frutto è al femminile. Cosa mangi? Risposta in dialetto:”la fica”. E giù a ridere. Continuo la mia chiacchierata immerso da odori che si sovrappongono: aglio, cipolle, pomodori, origano e…. fica!