Diego Novelli. Un don Bosco laico?

Torino, gennaio 2015. Diego Novelli, ex sindaco Torino. Foto, Borrelli Romano

Nella giornata di oggi, 31 gennaio, dedicata ad uno dei Santi Sociali del territorio della nostra città, don Bosco, sentivo il desiderio di riascoltare una chiacchierata avuta alcuni giorni fa con l’ex Sindaco della nostra città, Diego Novelli. Sovente, qui, sul blog, è stato menzionato. Un grande sindaco. Per tantissimi, il Sindaco. La sua buona politica e il suo ricordo  al servizio della città restano indelebili. Mi faccio raccontare qualcosa sul libro, “Le bombe di cartapesta” precedentemente nominato, qui, sul blog, sugli spezzoni e la guerra a Torino. Guerra ricordata da Natale Gherardi. Ma, nella giornata di oggi, resterò al suo rapporto con i Salesiani.Da ragazzo e da Sindaco. Parliamo del più, del meno, di libri, molti libri, tantissimi al punto da avere l’idea di essere l’interno di una biblioteca durante lahiacchierata . Parliamo di lavoro, di lavori, di politica, comunicazione, di legge elettorale, di oggi,  e legge truffa, di ieri. E di Presidente.  Si interessa ai miei studi, al lavoro……..Guardiamo insieme il blog. E’ attivo. Curioso. Scrive e legge. I libri sono disposti ordinatamente in ogni posto libero (ma in realta’ i libri si mangiano tutti i centimetri disponibili”). Resta il Sindaco. Vedia one un po’ sinteticcmente un aspetto della storia.

Oratorio di Borgo San Paolo dei Salesiani. La seconda casa.

“Mio padre, aveva rifiutato, ( perché obbligatoria per i dipendenti pubblici e per i dirigenti di prima classe delle aziende private) l’iscrizione al partito nazionale fascista e rifiutandola  era stato “catalogato” come un “sovversivo”.  Cioè, ostile al regime, quindi sempre soggetto ad essere  vigilato e condizionato  nelle sue libertà fondamentali  e in ogni movimento in particolar modo in  coincidenza di alcuni eventi  del fascismo sul territorio della nostra citta’.  “Quando venivano giù da Roma  i cosiddetti “pezzi grossi” del regime, la polizia locale veniva a prenderlo. Lo  conducevano  al commissariato,  per un “soggiorno” forzato di almeno un paio di  giorni. Non poteva frequentare locali pubblici, andare al bar, o altri posti aperti al pubblico. In molti non sanno che proprio nei bar vi era   l’insegna con su scritto “qui è vietato parlare di politica”.

Le alternative, quindi, per chi era considerato un “sovversivo”  dal fascismo erano piuttosto limitate. Mancando queste, non restava che l’ oratorio.

Amante del teatro, il papà di Novelli,  aveva messo su una filodrammatica. Aveva una passione viscerale per la recita. E noi, lo seguivamo. La nostra seconda casa, ovviamente, era diventata l’oratorio dei Salesiani.  L’Oratorio Salesiano San Paolo. Diego elenca tutta la struttura  di appartenenza prevista, in base all’età dei ragazzini e il relativo tesseramento.

” Prima ero Luigino, poi Domenico Savio e ancora negli effettivi”. E tutto questo, subito dopo la guerra. Appena ritornati al San Paolo.

Insomma l’organizzazione dell’Oratorio era ben strutturata.

Diego li racconta con lucidità e anche con affetto, la struttura e quel periodo. E con affetto ricorda gli amici e alcuni Salesiani che, complice la sua buona stoffa, qualità, intelligenza,   e un pizzico di destino, hanno contribuito a disegnare il suo futuro.

“ Durante quel  periodo, grazie ad un salesiano, don Baracco, riuscì a trovare un lavoro. Serio e piacevole. Mentre giocavo proprio  nel cortile dell’Oratorio, quel don mi chiamò dicendomi: “Diego, te la senti di andare in centro, di andare in Torino”, così si diceva allora, “dall’ Ebreo, ( così si chiamava il negozio di libri che c’era in centro sotto la galleria Subalpina), in piazza Castello”.  In uno dei magazzini dell’Oratorio San Paolo vi erano infatti accatastati numerosi libri frutto di varie donazioni. Fu così che, insieme ad  altri ragazzi  partimmo “verso Torino” con due borsoni pieni di libri.

Negozio chiuso e destino sempre aperto. Per una porta chiusa, un’altra  se ne aperta.  Siamo nel  1945 e tra le macerie di via Po, la Libreria Gissi, contrariamente all’altra, è aperta e prova a rilanciare un po’ di normalità tra la cultura. In vetrina, era esposta la scritta: “compriamo libri usati”.  Soggetti della trattativa sui libri da vendere, il Ragionier Momigliano e Diego. Quest’ultimo si rivela subito “un’occasione”da non lasciarsi scappare. Il Ragionier Momigliano  vede lungo sulle abilità di questo oratoriano, e non soltanto compra i libri ma offre un lavoro estivo presso la libreria  per la durata degli studi.

Diego Novelli diventò così un lavoratore-studente.  Il ragioniere offrì inoltre l’iscrizione ad una scuola serale privata. Fu così che, un occhio  di giorno ai libri da vendere e due su quelli da studiare, di sera, Diego cominciò  a bazzicare gli ambienti della politica, del sindacato e frequentando la domenica, l’Oratorio.

1948: Diego Novelli e l’Oratorio dei Salesiani.

Nel 1948, tre anni dopo la fine della guerra, in vista della tornata elettorale, qualcosa nei rapporti  tra  il lavoratore-studente e  l’Oratorio, muta.

La passione  Politica e l’impegno.

“ Con due fratelli partigiani, mio padre di  orientamenti a sinistra, mio nonno materno morto per le botte dei fascisti nel 1922 nel circolo socialista della Barriera di Milano, non potevo che collocarmi  a sinistra. Quindi ho fatto campagna elettorale per il Fronte Popolare che era il Fronte  unito della Sinistra. Una domenica mattina, dopo la messa sociale, quella  delle 8.30, nel cortile dell’Oratorio,  notiamo alcuni che distribuiscono volantini per la Democrazia Cristiana e più specificatamente per l’onorevole Gioachino Quarello. Noi eravamo tre o quattro del Fronte Popolare. In un attimo, dopo esserci guardati, io ed altri compagni ci siamo detti: “domenica  prossima porteremo anche noi dei volantini del Fronte Popolare. Qui. In oratorio.”  E così fecero.

“Non dico cosa successe. In seguito a quel fatto fummo  espulsi dall’Oratorio. Il Direttore  dell’Oratorio salì sul pulpito e da lì ci indicò come dei ragazzi traviati. Mia madre ci restò molto male. Affranta e  distrutta per il figlio espulso dall’Oratorio. Dei Salesiani.  Una delusione, per lei.  Per tutta la durata della campagna elettorale, una domenica dopo l’altra, abbiamo fatto il nostro lavoro di militanza politica. Il volantinaggio davanti l’Oratorio e la Chiesa”. Quel fatto però  ha lentamente allontanato Diego dal mondo Salesiano, dall’Oratorio, dalla messa sociale, dal campo di calcio. Questo almeno per un po’ di anni.

Nel 1949 Diego si iscrisse alla Federazione Giovanile Comunista.

Diego e il lavoro:  il giornalismo di sinistra

Nel 1950 scrivevo per qualche giornale sportivo e mi han chiesto se volevo andare a lavorare a L’Unità come archivista e  apprendista cronista di cronaca nera. Nel 1950 ho cominciato a lavorare a l’Unità: cronaca nera, sindacale, giudiziaria, politica e dal 1955 i resoconti del Consiglio Comunale, diventando una specie di “oggetto” di Palazzo Civico. Ero tutti i giorni in Comune. Nel 1960 il partito comunista, dato che il mio domicilio era era diventato, per via del lavoro, il Comune, mi chiese di candidarmi al Consiglio Comunale. Riuscì ad essere eletto nel 1960. Nel 1966 diventai  capo gruppo e nel 1975 per la terza volta mi chiesero di ricandidarmi e di fare il capolista.  Io però, avevo una gran voglia di tornare a fare il mio mestiere: il giornalista.

Nel 1975 ci fu l’avanzata delle Sinistre. Cosa successe a Torino, al Pci e a Diego?

Successe che  noi della sinistra ci trovammo  con un seggio di maggioranza (eravamo insieme con i socialisti al Comune di Torino).  La domanda a quel punto era: “Chi  diventa  Sindaco?”

Diego Novelli, era il capolista, e il candidato che  ha  ottenuto più voti.  Lineare e obbligata la scelta.

Dal 1975 al 1985, Sindaco per due tornate amministrative.” Prima avevamo una giunta, di sinistra, con un voto di maggioranza: avevamo infatti 41 consiglieri su 80.  Sai che fatica! Nella seconda giunta  siamo andati avanti. Noi comunisti abbiamo preso 33 seggi (da 30) e i socialisti da 10 a 12, quindi un margine più largo. 

Fu così che Diego si ritrovò Sindaco della nostra città per due mandati e  nel frattempo, nella sua veste istituzionale  ricompose i rapporti con i Salesiani conquistandosi, per via delle estate ragazzi avviate dal Comune di  Torino l’appellativo del don Bosco laico.

(un ringraziamento a Michele Curto e Juri Bossuto, autore di “Un gatto nel cuore di Torino”, che si sono resi disponibili nel rendere fattibile questo incontro).Torino, gennaio 2015. Diego Novelli, ex sindaco Torino e Romano Borrelli. Foto, Borrelli Romano

Su al Colle, giù dai colli

 

Torino 30 gennaio 2015, Maria Ausiliatrice. Natale Gherardi in attesa. Foto, Romano Borrelli

Torino 30 gennaio 2015. Neve a Torino. Foto, Romano BorrelliGiornata di neve a Torino. Giornata di sorprese. Mentre a Roma, “su al Colle” a Torino, “giù dai Colli”. Mentre a Roma qualcuno scrive la storia  con un nome tra i candidati,  al Colle,  “Gigino”, a Torino, un incontro fra il Rettor Maggiore dei Salesiani, don Angel Fernandez Artime,  successore di don Bosco e Natale Gherardi, cooperatore salesiano dal 1938. Torino 30 gennaio 2015. Maria Ausilaitrice. Il Rettor Maggiore, successore di don Bosco incontra Gherardi Natale. Foto, Romano Borrelli.Torino 30 gennaio 2015, Maria Ausiliatrice. Incontro tra Rettor Maggiore, successore di don Bosco, Artime e Gherardi Natale. Foto, Romano Borrelli  Una piacevole sorpresa.  E quanta emozione. Torino, Valdocco, come era, come è e come la vediamo. Torino ieri, Torino oggi. Un Rettor Maggiore famigliare, che si informa su come è Torino, i giovani, la scuola, il lavoro. Torino 30  gennaio 2015, Maria Ausiliatrice. Il Rettor Maggiore, Artime, successore di don Bosco consulta il Vangelo del 1938 regalato da altro successore, don Ricaldone a Gherardi Natale. Foto, Borrelli Romano.Su come la vede Natale e come l’ha vista,  Torino, con le sue trasformazioni. E la scuola, dalla Boncompagni di Torino in avanti. La scuola, le sue riforme, la didattica, la pedagogia, il sistema preventivo e gli esami. Di ieri e di domani. Natale e via Ravenna. L’Oratorio, il primo e i vari direttori. Natale, Torino e la guerra. Gli spezzoni. L’amicizia con il nonno di Elena e Serena, “della Sida”. Natale e la sua fabbrica, il cartone. Il lavoro. Gli incontri.  E come tutti gli incontri, pubblicati e prossimamente da pubblicare  sulla rivista, un altro era in formazione, sotto forma di dolce,  un “dolce incontro” , la pasticceria Sida e l’intuizione delle sorelle Elena e Serena: “una mail a pranzo”.  Incontro reso ancora più piacevole e famigliare dai racconti  di altre  grandi storie del nostro territorio alla vigilia della grande festa del santo sociale torinese, don Bosco. Un invito a Gherardi ma in realtà esteso a tutti, per domani, 31 gennaio 2015.  Una storia che continua.

Torino 30 gennaio 2015. Maria Ausiliatrice. Il Rettor Maggiore, Artime, incontra Gherardi e Romano. Foto, Romano Borrelli.

Per cena, poesie aeree

Torino 27 gennaio 2015. Trattoria Primavera, via Perugia 19, foto, Borrelli Romano

Torino, 27 gennaio 2015.  Trattoria Primavera. Via Perugia 19, Torino. Foto, Romano BorrelliDopo la Mole Antonelliana e Palazzo Reale, decidiamo, insieme a Luca e Leonardo che l’esperienza debba prendere piede e aereo, come una volta, a cena.  E prendere, anzi, riprendere quota. Mi è sempre piaciuta l’idea di un tempo, dove, al rientro dal lavoro, all’ora di cena,  ciascun membro della famiglia, a turno, leggeva una poesia. Scelta. Forse quando non c’era la televisione, e nemmanco i cellulari.

Oggi ripetiamo l’iniziativa In trattoria. Provando inoltre  a lasciare  in omaggio a ciascun cliente una poesia, a in compagnia delle oliere Torino 27 gennaio 2015, Trattoria Primavera, foto Borrelli Romanoe del  libro dei… menu. Così, depositata, sui tavoli. Presto a far compagnia. Pronta per essere aperta e letta. Come un fiore. Per questa volta ci siamo limitati a donare la medesima poesia su tutti i tavoli disposti nel locale. Poesie aeree per cena. Il gioco serio consiste nel vedere l’espressione di quanti avrebbero trovato questo gradito ospite. Una poesia. E che poesia. “Double-face”. Mi interessava vedere la reazione di quanti, per una sera, avrebbero avuto una compagna…di troppo. Per una volta non era la rosa o il solito fiore. Ma un fior di poesia.  Il risultato è stato aver visto tanta  sorpresa ai tavoli. E quanta soddisfazione. In molti assorti nella lettura di un cartaceo, come non accadeva da tempo. Ormai siamo soliti  cenare fuori, in compagnia, ma fuori da quel contesto, conviviale, sempre più immersi a consultare… il nostro cellulare. Questa volta la poesia aerea pare abbia funzionato. Lo scopo in realtà non era solo questo. Le poesie erano in sardo e quindi per l’occasione abbiamo scelto una trattoria sarda, a Torino. Trattoria Primavera, via Perugia 19. Torino 27 gennaio 2015. Trattoria Primavera. Foto Romano BorrelliTorino 27 gennaio 2015, Trattoria Primavera, via Perugia 19. Foto, Borrelli RomanoDimenticavo. Una poesia aerea in .. sardo con traduzione. Per non mangiare sempre…la solita zuppa.  Il resto? Lo sapreste presto. Per ora, accontentatevi dell’iniziativa.

Un grazie alla trattoria che si è prestata all’iniziativa e alla diffusione delle poesie.

27 gennaio 1945 – 27 gennaio 2015

Torino,foto.Borrelli Romano“Negro latte dell’alba noi lo beviamo la sera

Noi lo beviam al meriggio come al mattino lo beviamo la notte

Noi beviamo e beviamo

Noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto

Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro Margarete

Egli scrive egli s’erge sulla porta e le stelle lampeggiano

Egli aduna i mastini con un fischio

Con un fischio fa uscire i suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra

Ci comanda e adesso suonate perche’ si deve ballare”.

Ho atteso il termine della giornata lavorativa per recarmi in piazza Castello, il vagone. 20150125_170803Una mano gentole e delicata lascis un fiore e ports per sempre con se un pensiero…in piazza, per un momento di silenzio. Torino, foto Romano BorrelliPoi, una lettura…Torino, piazza Castello, 27 gennaio 2015. Giovane coppia in silenzio. Foto, Romano Borrelli20150127_165718

Torino ieri e oggi

Torino corso Regina Margherita, corso Principe Oddone. La Sida li vicino....da loro a Borrelli RomanoTorino, Porta Palazzo. gennaio 2015, foto Romano Borrelli.Torino…………nella sua dimensione…attenta. Ieri, 1926, oggi, 2015.  Oggi, davanti ad una buona merenda, un the, pasticcini, nell’identica pasticceria di ieri, seduto, alla Sida. Sono intento ad osservare questa bellissima fotografia, della famiglia Mangiardi, ( e nella fotografia, ci sono davvero tutti, a mio modo di vedere) che ritrae una Torino del  1926. Da fare, da farsi. Prospettive e futuro. Mi concentro sulla locomotiva che apre la strada al futuro. Non solo una foto. Un progetto. Una locomotiva che “taglia” Torino.  E allo stesso tempo la apre. Al futuro. Riconosco Corso Umbria. Operai al lavoro. O forse persone lungo i binari. Strada ferrata verso est che ora non esiste più.  O meglio, esistono, ma sono interrati e da qui, dagli interni “dolce” e “dolci”  è  possibile are. Li sotto,  dove transita l’alta e la bassa velocità , l’affaccio è sul pc mica dal finestrino, come accadeva quando qui c’era…il treno. “Eh, quando passavano i treni da qui….” mi sussurra una persona “saggia”  intenta a gustarsi il  suo the (“senza zucchero”, dice a se stesso) e alla vetrina dei pasticcini di ogni tipo e fattezza. Un “vorrei ma non posso” è  interpretabile dalle sue dolci, lente movenze.  ” Mi si nota di piu’ se mi alzo e li prendo o se resto a guardarli e fissarli di continuo, quei pasticcini”? Sussurra….”Ma  secondo lei“, mi domanda, “ci sarà ancora della gente che vuol stare seduta vicino il finestrino?” Bho…chissà. Pero’ ha ragione. In questo tratto, eravamo in molti, appena qualche anno addietro, a stare attaccati al finestrino del treno, “interregionale” Torino- Milano, cadenzato ad ogni ora esatta. E proprio questo angolo di Torino, appena spuntati dal breve tratto di tunnel ti si presentava agli occhi per primo, con la pasticceria la farmacia Ausiliatrice, la cupola della Basilica, corso Regina Margherita e Principe Oddone erano un po’ il segnalibro  di questo dolce libro che si chiama Torino. Se andavi verso Milano, ti gustavi la citta’ con i suoi primi cambiamenti. E la storia. Il sacrista salesiano più anziano di Italia, e la sua storia, una missione nella missione ( manca poco e saranno “99”), la pasticceria Sida, tra “tradizione e innovazione” che resiste e “surfa” sulle onde della globalizzazione della rete, e vince perche” fa rete con la tradizione e l’innovazione,  e insieme a questo luogo e quelli ricordati,  la panetteria Corgiat, un ex internato militare, Gherardi Natale e il suo scatolificio e le scatole che lui le fabbricava, mica le rompeva ‘ne’. Sulla stessa via, l’oratorio…e ancora la scuola materna dove ora i bambini suonano il violino…E quanta storia….bamboline russe….Se viceversa andavi verso Porta Susa, cominciavi ad alzarti. L’arrivo e la discesa erano prossimi. Ha ragione, la saggezza.  Un tempo, quel posto ce lo si contendeva. Stare alla finestra di un finestrino. Anche a me, “Piace”molto. Ora, sotto il tunnel, nessun interesse. Una galleria, fino quasi a Stura. Chi vorrebbe stare al finestrino senza vedere nulla? “Vorrei ma non posso”, ripete la saggezza.  Pero’, torna a sussurrarmi, ” vedere e non gustare, e’ una cosa un po’ brutta da provare“. Ha ragione. Si alza e ordina. “Ci pensero’ domani. Oggi proprio no. Voglio coccolarmi”.  E addenta una pasta. Ritorno con lo sguardo sulla foto.

Gente. In attesa del  treno, o di un treno, già in quel periodo. Binari, dove ora, all’ora di pranzo, da qui, si vedono la rotonda e qualcuno pure il mare. Già. Il mare. Lungo i binari, a passi lenti. Verso domani. A passi lenti, come dalle parti di Porta Palazzo, poco distante da qui.  Un giro per Torino e scopri che Costantino ha trovato casa, meglio, un letto. Una buona notizia. Ora, la panchina in ferro posta  sotto la pensilina del bus (vedere articoli precedenti) Costantino la usa solo per sedersi e contare in un passatempo i bus che lentamente passano e si avviano al loro capolinea. Legge il numero di serie, quante persone scendono e quante restano.  Di tanto in tanto allunga la mano, per una sigaretta. Spiaccica solo qualche parola  ma si fa capire. I bus stancamente ripassano, dopo il loro lungo percorso.  Costantino da una rapida occhiata all’orologio elettronico, sopra le piante, oltre le siepi,  posto sopra il palazzo, forse di un albergo. Conta, Costantino. Conta i minuti in più o in meno rispetto al precedente  giro del bus. Per un attimo è come si salutassero. Chissà quante volte nell’arco di una giornata, Costantino e bus si scambieranno un saluto e una risata che poi, altro non è lo stridore delle gomme. Pochi minuti per la sosta. Poi, tutto riprende. Come prima. Con qualche accelerata che nella vita ci sta sempre. Ragazze che non sanno cosa sia facebook e usano la macchinetta per le fototessere. All’uscita di quei quattro francobolli li osservano, si guardano e si  abbracciano. Un abbraccio  condiviso. Alcune  smorfie, sorrisi. Entusiasmo. Mi piace.  Finalmente qualcosa di concreto. Guardando oltre.

I Mondi di Primo Levi

Torino, Piazza Castello, gennaio 2015.Foto Romano BorrelliTorino, Piazza Castello, gennaio. Foto, Romano Borrelli.“Se questo è un uomo”

(dal primo capitolo)

“I vagoni erano dodici, e noi seicentocinquanta; nel mio vagone eravamo quarantacinque soltanto, ma era un vagone piccolo. Ecco dunque, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, una delle famose tradotte tedesche, quelle che non ritornano, quelle di cui, fremendo e sempre un poco increduli, avevamo così spesso sentito narrare. Proprio così, punto per punto: vagoni e merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo. Questa volta dentro siamo noi”. Torino Piazza Castello, gennaio. Foto, Borrelli Romano.

Primo Levi.

Torino, corso Regina Margherita. I Mondi di Primo Levi. Cartellone pubblicitario. foto, romano borrelliNon entro nel merito di quanto ha suscitato e suscita ( rispetto ai tempi e ai vincoli, ma da censurare quella bruttissima “parolaccia” baraccone) una “uscita” estemporanea del soprintendente sul vagone e contro il vagone  in Piazza Castello di  fronte alla mostra su Primo Levi , (e sui tempi di permanenza del vagone in Piazza Castello) “Mondi di Primo Levi” inaugurata a settant’anni dalla liberazione dei campi di sterminio. Serve e dovrebbe restare, a mio modo di vedere per tutta la durata dei Mondi di Primo Levi. Per riflettere. Per pensare.

Condivido il pensiero della comunità ebraica. Il treno è un inciampo metaforico per pensare. E riflettere.

Ricordo ancora l’iniziativa di anni addietro: la lettura integrale del libro, “Se questo è un uomo” al Circolo dei Lettori di Torino. Una pagina per ciascuno dei presenti. Una “maratona” ininterrotta. Spezzata solo per cibarci di quanto  veniva dato nei campi. Una iniziativa, a mio modo di vedere, che andrebbe ripetuta.

Non vi è piazza che tenga. Ho ripercorso a ritroso le pagine del blog.

Dall’albero di Natale alla piscina ad altro ancora. Piazza Castello ha ospitato di tutto. Il vagone puo’ e deve restare fino al termine della mostra i Mondi di Levi.

Nella giornata vorrei ricordare a livello personale e collettivo di quartiere la figura nota, qui, alla circoscrizione 7 della partigiana Enrica Dellavalle spentasi il 23 gennaio 1986. Una figura che ha lasciato tantissi i ricordi in chi ha avuto modo di conoscerla. Operaia presso un opificio dalle parti della stazione Dora (che ora come edificio non esiste piu’) in molti ricordano Enrica nella sua attivita’ di staffetta partigiana. In molti che hanno avuto modo di conoscerla, incontrarla e soprattutto ricordarla, ne tratteggiano la figura di una donna comunista, amante della giustizia sociale, sempre pronta a sostenere le figure deboli, indifese, sfruttate e ai margini della societa’ anche in una Torino inserita come altre citta’ nella societa’ del benessere. Enrica. Amante della giustizia sociale e attratta dalla poverta’ per darvi risposte certe e immediate ai bisogni della povera gente. In molti del quartiere ,  ricordano ancora, la banda ( come Enrica aveva sempre desiderato il suo ultimo viaggio) e “Bella ciao” a pugno chiuso quando il 23 gennaio,  su una strada asfaltata, un piccolo nastro dove si era affacciato un piccolo sole tutto per lei,  la salutarono per l’ultima volta tra le vie del nostro quartiere. Indimenticabile la sua memoria di ferro. Ricordava tutti i compleanni dei bambini del suo palazzo e oltre, in questo spicchio di terra di santi sociali e comunisti che hanno una matrice comune: il prossimo e la sua dignità. Nelle ore prima del suo ultimo viaggio, consapevole di quanto stava per accadere, diede disposizioni alla cognata di quanti compleanni dei bambini “napuli” (terroni) si sarebbero festeggiati di li a poco. Per ognuno, diecimilalire. Per il compleanno e per i pasticcini da comperare alla pasticceria S. Un tempo, quando le forze la sorreggevano, mano nella mano, come una nonna, accompagnava lei tutta quella schiera di nipoti non suoi, in pasticceria, da S, il giorno del loro compleanno. Poi, l’impegno, delegato  per il venir meno delle forze fisiche, ma mai dimenticato.

Ciao Enrica. ( per la par condicio, mi viene da dire, ciao Enrico).

 

 

 

RegaLibri nella Circoscrizione 7 di Torino

COMUNICATO STAMPA

CAMPAGNA “REGALIBRI”

A SOSTEGNO DELLE BIBLIOTECHE

DELLE SCUOLE PRIMARIE

DELLA CIRCOSCRIZIONE 7 di TORINO

Raccolta di libri tra i cittadini dal 3 al 27 febbraio

regalibri

Regalibri delibera

Private nostalgie

Torino, Piazza Statuto riflessa. Gennaio 2015. Foto, Romano BorrelliA guardarla da qua, questa piccolissima fetta di Torino riflessa è impalpabile. Non la prendi per quanto tu possa desiderarla. Certe telefonate sono dolci, lunghe, interminabili e anche quando terminano vorresti non fossero terminate. Mai. Nonostante. Si inflazionano i complimenti, le scuse e…provi a raccontare e porgere questo pezzo di Torino a chi puo’ solo riceverla dalle tue parole. E allora la racconti, come meglio puoi, insieme ai tuoi sentimenti, alle tue parole, che sembrano migliori, smussate da ogni angolo,  solo perché le racconti a lei. La dipingi su una tavolozza dai colori accesi, un po’ come chi la descrive, li vivi, ravvivi, la vivi e la ravvivi e la fai vivere ed esplodere, dal desiderio di vederla nel porgerla dall’altro capo del telefono…E ha inizio così…Da un capo all’altro, un filo che relaziona e provi a relazionarti. La porti in dote, dall’altra parte del telefono, perché il cellulare stava per cambiare compagnia, gestore, operatore….Torino sarebbe stata il treno, un treno, una promessa, che brucia. Forse impossibile da mantenere, o difficile da attuare, ma non impossibile certamente. E bella. Bella e impossibile. Inafferrabile un po’ come una parte che la osserva, dopo una lunga telefonata in cui c’era di tutto un po’. C’era una volta, nel telefono, lei. Poi è entrata in un messaggio e non l’ho più…”risentita”. Una sommatoria di interferenze hanno sciupato la comunicazione che poi era la, comunicazione. E ogni volta che guardi la cabina, la pensi e la ripensi. E vorresti sentirla. Come al tempo del miele. Il tempo delle mele. Tu e lei. Le cuffie. Il mondo fuori. E allora quei pochi centimetri di porta gommata della cabina li spingi appena appena. Dentro tu, lo zaino fuori. Entri e fai come quando eri bambino. Tutti intorno ti mettevano tra le mani un telefono, di plastica, e dicevano: “parla, parla, saluta la nonna”. E tu, prendevi la cornetta e cominciavi a parlare e dicevi solo e semplicemente la verità, anche se dall’altra parte non c’era nesuno: “ti voglio tanto  bene. Vieni”.

Ma, lo spazio vorrei cederlo ad una lettrice del blog che ha inviato la sua lettera. Quindi spazio e parola ora alla lettrice.

Torino, interno cabina telefonica. Foto, Borrelli RomanoI ricordi mi vedono in una cabina telefonica  sulla riva del Po, vicino alla Gran Madre.
La telefonata quotidiana (di solito dopo cena) al “primo amore” mi metteva in uno stato di agitazione fin dalla mattinata Immancabilmente la cabina era già occupata da qualcun altro…avrei chiamato in ritardo. Aspettavo il mio turno con nervosismo facendo tintinnare i gettoni da una mano all’altra, con la speranza che la persona all’interno della cabina percepisse l’urgenza della mia telefonata. Quando poi finalmente riuscivo a mettermi in contatto con M., ecco che si presentava un altro motivo di inquietudine. I gettoni avrebbero potuto terminare prima delle parole. Quante parole dette lontano da orecchie indiscrete.
A casa non si poteva parlare liberamente, soprattutto era materialmente impossibile. Il telefono con il lucchetto, messo dalla nonna (a detta sua) per risparmiare sulla bolletta e non per evitare chiamate ai ragazzi, ti impediva ogni accesso.
Strano, però, il ricordo che ho di quelle telefonate. Era come se una volta entrata in quella cabina il resto dell’esistenza fosse sospesa, non contava più nulla.
Non ho nostalgia per quelle telefonate se non la nostalgia stessa per quella cabina che per me è stata la “custode dei primi segreti del cuore”.
E’ davvero un peccato, al di là, delle private nostalgie, che oggi le poche cabine telefoniche rimaste siano nel più totale degrado, alla mercé di persone incivili. Perché non ripristinarle in modo adeguato, portarle a nuova vita, conferendogli come nei paesi oltremanica, una nuova dignità?
Ma… forse la risposta l’ho già data: è una questione di civiltà. (E.D.).

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Inoltra

Dalla cabina per…fototessera

Torino gennaio 2015, foto, Borrelli RomanoDal metro della cabina telefonica al metro della cabina…fototessera. Chi la ricorda? Eppure anch’essa conserva qualcosa di così ….romantico oltre che essere stata oggetto di una certa utilità pratica. Entravi li dentro, dopo aver fatto scivolare una banconota da 5 mila lire (oggi, euro) e in  pochi minuti  4 mini foto erano pronte per l’abbonamento del tram.  O per il posto di lavoro. Appena uscite, sentivi il rumore dell’asciuga-capelli. Ma non bastava. Le sventolavi e ci alitavi su. Era cosa sacra. Guai a rovinarle.Torino, interno fototessera. Foto, Romano Borrelli. Gennaio 2015.

La cabina telefonica, prima. La cabina per fototessera, poi.Capitava di usarla, anzi, di fiondarti dentro, al rientro da una passeggiata, in dolce compagnia, nelle serate invernali, quando il calore non è mai abbastanza. La ricerca della cabina, per foto,  era un’appendice, un’aggiunta di miele, di calore, la possibilità di un abbraccio un pochino più stretto, serrato, a quelli mai abbastanza scambiati come si vorrebbe, diversi da quelli dati…precedentemente. Insomma, era la macchina per giovani studenti appiedati e senza soldi. Entravi e continuavi a condividere. Dopo la serata, la cena, l’amore. Un sedile, bianco, in due. Torino, gennaio 2015.  Fototessera. Foto, Romano BorrelliStretti-stretti. Sembrava una vite, quel sedile. Giravi, giravi, giravi. Nello specchio cominciavi a rifletterti, a fare smorfie, a trovare la posa più adatta. E ridere. Quella voce metallica ti diceva quanto mancava allo scatto, cosa inserire, se accettavi o meno quelle che potevano essere le foto “stampate” (mica pubblicate) e il formato desiderato. Ma onestamente, chi se ne importava di tutte queste  disposizioni? E poi, la tendina. La mitica tendina. Una frontiera. Noi e il mondo. E chi se ne fregava, del mondo fuori. Il mondo era li dentro, in quel metro, in quella cabina. La tendina così simile a quella dei treni, a separare lo scompartimento dal resto del corridoio. Un po’ di intimità. Che… “relazione” tra tendina di treno e tendina di cabina. Sognare. Occhi chiusi, occhi aperti, nessuno ti doveva, deve, vedere. Nessuno deve sapere. Anche per una fotografia. Era così lontano il tempo dei social. La condivisione era per due. In un minuto c’erano una sommatoria di minuti indeterminati da custodire gelosamente in un futuro indeterminato, nel portafogli. Nei portafogli. Non solo un minuto. In un minuto, tutto. Ho passato notti a stendere la tendina in un treno, immaginandomi al mattino di tendere la tendina della cabina. Al mattino, non riuscivo mai a trovarne una. I cellulari  sono diventati ottime macchinette fotografiche, ma anche una moltiplicazione dei pani e dei pesci. Colpa dei social, una cabina senza confine. Selfie all’aperto, senza tendina. Talvolta, quella tendina, riparava da certe intemperie. Almeno per un minuto.   Oggi un minuto è pure troppo. L’affaccio è istantaneo.

Ps. E’ comunque bello vedere queste due quasi solitudini che resistono e attendono e forse nell’attesa esiste il grande amore. Una cabina telefonica, una per le foto. Al riparo da un porticato. Un posto che non è solo un capolinea ma un inizio di corsa, le chiamate, le risposte, il treno che arriva, il treno che parte, il sottopasso e la linea che va giù. Riprendi la cornetta, inserisci le monete e il tempo passa…l’università, la biblioteca, il posto da cercare…il posto al lavoro, il posto nel mondo e qualcuno che ti tiene sempre un posto. Dove, ognuno lo sa.