In Salento

DSC01478Il modo migliore per conoscere parte del Salento è quella di prendere un bus, a caso, e andare, passare paesi e ascoltare le voci, i dialetti dei ragazzi, delle famiglie che ritornano. Vederne alcuni  che danno l’idea che la scuola non sia ancora terminata, che consumano parte del cibo avanzato a pranzo e cenare.  E’ bello vedere nella loro spontaneità, oggi, come ieri, a scuola. Mentre gli alberi “volano” via alle spalle di questo  bus, che sembra ormai piuttosto avanzato negli anni e forse avrebbe bisogno di un tagliando, o qualcosa di simile.  Un viaggio in “barca“, afferma qualche ragazzo in puro dialetto, senza capire se per via degli ammortizzatori o del manto stradale. Se la strada sono onde e il bus barca.  Ma non importa. E’ l’umanità che rientra a casa, che conta. Con pochi euro son riusciti a godersi una giornata di mare, di sole. Umanità, dignità. A volte ferita, che viaggia. Intercettare parti di discorsi in dialetto e sorridere. Capire, far finta di non capire e non capire davvero. Un po’ come a scuola, lasciando i dovuti spazi di espressione agli “attori” principali di un’età così… Già in attesa “poco esatta” a dire il vero, del bus, ma non importa, in vacanza, il tempo è vuoto e pare che la scuola non sia affatto terminata. Attesa, tornata, amori in campo. Una sequenza di articoli del blog, ma siamo in Salento, tra mare, cielo azzurro, sole infinito e grande come un pallone infuocato e tanta terra rossa, capace di generare frutti buoni. Buoni frutti. Di tanto in tanto, masserie ristrutturate, pronte per la cena. Il bus corre. Qui dentro, luce nella Luce. Libri. E non è più come prima. Nel taccuino annoto, dopo aver posato gli occhi verso l’orizzonte.  Il freddo e il gelo sono alle spalle. Ma ancora nella testa.  File di zaini in attesa, accomodati su sedili vicini ai passeggeri, come me. Non si contano le infradito ai piedi e il sole sul viso. Qualche parola scambiata, il più, il meno, provare a chiedere se sono a conoscenza della candidatura di Lecce come capitale europea  della cultura 2019, in un anno lontano da questo. Provare a sondare se conoscono un’altra candidata. E poi, una volta sul bus, vedere il sole, una massa enorme, un rosso fuoco, oltre gli olivi. Oltre quella che è la pista. Immaginarlo mentre si tuffa in mare. Immaginare quegli alberi, così forti, secolari, affiancati da alberi giovani. Penso al mio, di  zaino, e che la scuola, anche per me, pare non essere terminata. Zaino che contiene libri. Pagine, annotazioni, rimandi. Viaggiano con me, anche se non è più come prima, l’elogio del perdono. Un passeggero che pone domande e aiuta a riflettere. Insieme, il taccuino di Simone Weil, libro di Guia Risari, scrittrice e traduttrice, con studi di filosofia morale all’università di Milano, alle sue spalle.  (Guia, che in vikingo vuol dire, colei che viene dai boschi). Un libro che ho aspettato, cercato, desiderato,  ma che davvero ne vale la pena. Comprare, leggere e rileggere. Mai da abbandonare. Neanche pochi istanti fino a quando non lo si fa proprio.  E il formato, taccuino, è un invito ad assimilarlo alla propria vita. Come fosse un’agenda nostra. Il libro, con i suoi dieci capitoli, a temi riguardanti Simone Weil, mi piace, come ho già scritto in un commento. Ma merita, parlarne e riparlarne.  Soprattutto per un tema riguardante Alessandro Magno, “Il bello e il bene”. L’Imperatore è nel deserto coi suoi soldati e gli viene offerto da bere, ma lui sparge l’acqua a terra. Ha sete, come gli altri uomini, ma, dato che l’acqua non basta per tutti, rifiuta di godere di un privilegio. Per me, il significato di quest’episodio è chiaro. Bisogna sapere rinunciare alla felicità se essere felici ci  separa dagli altri.”

Mi piace averlo con me, e leggerlo sotto questi alberi di olivo, così forti. In Salento. Tra Torre Lapillo e Porto Cesareo. Foto, Romano BorrelliGuardarne poi la copertina e commentarlo. Con mio padre.

E anche in tal contesto, il pensiero alla fascia protetta del padre, un racconto, il 19 di marzo, dell’amore sconfinato di una ragazza per suo padre. Le sue braccia che cingono il busto del padre, mentre insieme, sulla moto, fanno strada.

Sulla strada del ritorno qualche nuvola all’orizzonte. Ovatta, cumuli di panna in un cielo turchino, colori acquarelli, sul mare. Nuvole che paiono in procinto di scrivere qualcosa sulla distesa d’acqua come le lacrime di un uomo che gli rigano il volto e ne scrivono l’essere. Piccole botti sulle terazze, contenitori d’acqua per lavare via la sera granelli di sabbia che pungono al pari di parole. Botti dai colori variopinti rassomiglianti a tante “pagliette” da calare sulla testa. Il mare, un’enorme distesa azzurra, un foglio. Da scriverci sopra.

Salento: tanto di cappello. Estate 2014

Estate 2014.Torre Lapillo. Foto, Romano Borrelli Foto, Romano Borrelli (3)LaSalento, tanto di cappello. Porto Cesareo, Torre Lapillo (Lecce). Estate 2014. Foto, Romano Borrelli. terra è rossa. Salento. Estate 2014.  Terra rossa. Foto, Romano Borrelli.Era da parecchio che non vedevo questo colore, dalle parti del mare. Le piante di oliveFoto, Romano Borrelli (2), con i “recinti” di pietra, composti da mano d’uomo, lungo il corso degli anni, impastati di calce e sudore, con l’ acqua che spesso mancava e che era davvero oro blu. Recinti che sono confini, tra uno e l’altro, nel rispetto della natura, dell’uomo, le vigne, i frutteti passano velocemente, fuori dal finestrino,  ma sono rincorsi da altri e altri ancora. Il passaggio veloce, del tempo e di questa terra. Terre sterminate. Nel chiuso del treno il profumo del caffè arriva ugualmente, così come quello di pane fatto in casa, pasticciotti Porto Cesareo. Il pasticciotto. Foto, Romano Borrellie pasta fatta in casa, i pizzarieddi e le orecchiette, ricotta e formaggi freschi di masseria. Formaggi in una masseria salentina. Foto, Romano Borrelli E poi, la ricotta calda e la “ciuncata”, (formaggio fresco) venduto di tanto in tanto sulla spiaggia, come fosse un gelato.Ricotta e ciuncata salentina di masseria. Foto, Romano Borrelli Sui terrazzi qualcuno prende il sole, in paesi che mai ne dimentichi il nome.  E il sapore. Cose di mare. A sinistra il primo cavalcavia. La sud-est è sotto. Lo stabilimento del caffè Quarta. Il treno rallenta la sua corsa. Si intavede gia’ la pubblicita’ del Quotidiano di Lecce. Il treno quasi rallenta la sua corsa. La freccia, scagliata da Torino ha fatto il suo percorso. E’ stanco. Come il suo contenuto. Treno che ha visto e ci ha donato la possibilità di vedere grandi bellezze, da lontano e da vicino, con gli occhi giusti o con gli occhiali giusti. A patto che si osservi il tutto con il desiderio di essere curiosi e meravigliati.  Ritrovare attraverso quei rami di alberi secolari illuminati da raggi di luce forte la meraviglia e l’incanto. E attraverso quei rami pensare alla grandezza del futuro che abbiamo nelle nostre mani. Rami di alberi secolari. L’occhio cade sulla copertina del libro, anzi, taccuino, di Simone Weil, scritto da Guia Risari: due grandi alberi i cui rami compongono il viso, gli occhi, gli occhiali di Simone. Viso di donna. Rami che si intrecciano e compongono. Pensavo di aver perso la mappa pero’ tutto qui dice  che la possediamo ancora. Da qualche parte, l’abbiamo registrata, conservata. Chi in tasca, chi nel cuore.  A volte si sbaglia strada, ma non importa.  Tra poco questo treno lo metteremo in garage, almeno fino a domani. Il motore è caldo. Fa ingresso nel binario uno. La folla dei parenti, amici, conoscenti è una marea sterminata. Onde lunghe, corte, intermittenti. Sottopasso, piazza e poi ci si disperde. La provincia è lunga, come le cose da raccontare, come l’anno che abbiamo alle spalle. Un mare a ridosso del mare, quello Jonio. La targa azzurra blu notte indica il nome della città: Lecce. Il treno è fermo. Le porte si aprono. Le braccia si aprono, accolgono, abbracciano. Le labbra baciano….Piu’ mondi convergono verso lo stesso centro. .Il treno è stato messo in garage. Un attimo e provo a pensarlo nel momento in cui sarà come un sacchetto, pasticciotto al seguito, pupille gustative in festa e lacrime dolci-amare che lo innaffiano fino alla sua destinazione finale, o, a metà strada, quando sovente chiama. Spesso, da spettatori quali siamo, vediamo nei nostri viaggi di ritorno, scendere gente, nelle stazioni intermedie, a lasciare qualcosa, una condivisione di chi non ha conosciuto questa terra, in due minuti, prima che il fischio del treno obblighi a risalire, un abbraccio, un gesto, un lascito d’amore che va oltre ogni retropensiero. In quell’abbraccio, in quel pasticciotto, in quella crema, esiste una condivisione dei giorni. Un po’ di dolcezza da condividere. Come fosse miele. Ma oggi è il l’inizio e non il ritorno. Per il ritorno ci sarà modo e tempo. Oggi qualcuno sostiene che la festa del pasticciotto è a Surano, dove si celebra la settima edizione della Festa del pasticciotto, il dolce tipico salentino, composto da pasta frolla e ripieno di crema pasticciera. Solo due parole, dato che rimbalza spesso su questo blog. L’origine del pasticciotto è del 1745, presso la bottega Ascalone, a Galatina, dove, in occasione della festa di San Pietro e Paolo venne cotto il dolce, denominato, inizialmente un vero “pasticcio”….il mare è servito. E in Salento, tanto di cappello. Potrbbe essere una buona pubblicita’. E allora, speriamo piaccia.Lo dice anche la ragazza  in ammollo.Estate 2014. Torre Lapillo-Porto Cesareo, Lecce. Foto, Romano BorrelliEstate 2014. Torre Lapillo, Porto Cesareo. Lecce. Foto, Romano BorrelliIl  Estate 2014. Torre Lapillo. Foto, Romano BorrelliFoto, Romano Borrelli. Salento...

Tra Rimini e Bologna

Rimini. Basilica-Tempio Malatestiano. Foto, Romano Borrelli (3)Quattro “passi” tra Rimini e Bologna, prima di andare a rimettere il treno in “garage”. In treno. Col treno, “uno dei modi di tornare a casa”. Ingannare il tempo osservando la vegetazione che muta, bicchiere alla mano, e tovaglioli che in un breve volger di tempo diventano barche e aerei. Quando non siamo distratti dal rumore dei lettori sparati a tutto volume nelle orecchie di qualche vicino. Modi di tornare a casa, mettendo nel piatto qualcosa di personale in uno spazio più ampio. senza essere gli “indifferenti”. Agli altri, al circostante.  In “una giornata particolare“, anche quando ci si sente “L’ultima ruota del carro” . Storie, tante storie nella Storia. E quante se ne sentono nella pancia di un treno.

Modo di tornare a casa pensando al ritorno, pensando al padre, leggendo un libro, ripetendo mentalmente: “Grazie per questo nome che porto. Grazie per questa vita che stringo” (“Questa storia, di Baricco”).

Rimini si presenta come sempre “piena” di turisti. Interessante il Tempio Malatestiano.  Poi, in centro. La torre con l’orologio e il calendario, una meraviglia. A Bologna un salto in centro e verso l’Università…penso che non abbia bisogno di alcuna presentazione.

Poi, il treno…….zaini, che indicano il ritorno, di molti. Partenze. Viaggiatori, camminatori. Cervelli di ritorno e chissà quanti fra i cinquemila che lasciano l’Italia.  La grande crisi. Il mio, zaino. “E come tutti i grandi camminatori  mi sono armato di pazienza e ho riempito un grande zaino -uno zaino che tutti abbiamo -di esperienze, letture, incontri. E’ normale, poi,  ch’io sia un po’ stanco”. (tratto da “Il taccuino” di Simone Weil, di Guia Risari.  RueBallu, Jeunesse ottopiù).

Rimini. Basilica-Tempio Malatestiano. Foto, Romano Borrelli

Rimini. Basilica. Tempio Malatestiano. Foto, Romano BorrelliRimini. Basilica-Tempio Malatestiano. Foto, Romano Borrelli (2)Rimini. Basilica-Tempio Malatestiano. Foto, Romano Borrelli (4)Rimini. La torre, l'orologio, calendario. Foto, Romano Borrelli

Bologna. Foto, Romano BorrelliBologna. La torre degli Asinelli. Foto, Romano BorrelliBologna. PIazza Maggiore. Foto, Romano BorrelliFoto Romano Borrelli (3)

Ritornare in treno a Ravenna

 

Torino Porta Susa. foto, Romano Borrelli

 

 

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Riprendere il viaggio…fiondarsi nella stazione vetro-acciaio di Torino Porta Susa; incontrare lungo il cammino che separa casa dalla stazione solo poche anime. Anime “vagabonde”, in giro per la nostra città, al mattino presto, quando la metropoli dorme ancora e l’estate non vuole ancora bussare alle porte torinesi. Direzione stazione, per poter salire su di  uno dei primi treni mattutini e dirigersi verso Sud. Al mare. Pensare di potersi dedicare a buone letture e sorbirsi invece gli influssi e gli effetti della nuova tecnologia e cellulari ultimo grido con  cartoni animati incorporati per distrarre i bebè al seguito. Scoprire  così che in un’epoca in cui il lavoro scarseggia  per molti il treno diviene  un’appendice dell’ufficio, trasformando il ripiano posto davanti al sedile in una scrivania tipo Presidente del Consiglio (evidenziatori, penne e blocchi in ogni dove, con tablet e cellulari ultima generazione) e parlare ore e ore di finanza, condomini, polizze assicurative incuranti se tutto questo parlare ad alta voce con persone dall’altro capo del telefono possa dare o meno fastidio al vicino. Una voce di Trenitalia chiede gentilmente di abbassare la suoneria del cellulare ma in realtà, a mio modo di vedere, dovrebbe invitare molti  viaggiatori a frequentare corsi di buona educazione, di bon ton. E un mio suggerimento potrebbe essere quello di suddividere questo eccesso di lavoro con chi ancora non lo ha.  Un nonno anziano fa la spola, dal sud al nord per accompagnare i nipoti al mare.  Da anni in pensione conosce a memoria gallerie, scambi, stazioni, fermate, coincidenze. Vedo passare velocemente Reggio Emilia,  Bologna tante cittadine a me amiche. Faenza, Imola, Rimini, Cattolica, abbinando a quest’ultima  un ritardo di fine estate con continuazione del viaggio in macchina, lungo l’autostrada per uno di quei viaggi che non si dimenticano, direzione Sud, verso Ascoli. E poi ancora  Pesaro! Rimini, Ancona, la sala d’aspetto, prima, dopo, durante, persone silenziose e meno, manovratori, uomini di fatica e guastatori. Lettere scritte, consegnate e consegnate al volo su di un treno in partenza. Un giro del mare per arrivare  a Ravenna. Il pensionato ferroviere comincia il suo  racconto di una Italia che fu coinvolgendo quante più persone: di quando c’era il vagone postale  incorporato  nel treno e dentro si lavorava (conoscendo esattamente la composizione di ogni treno, classi, cuccette, vagone lette, postale) eccome se si lavora. Delle “balille”  ( brutto nome, ma le chiama così, contenitori in ferro) in attesa alle stazioni, lungo le banchine, suddivise in posta in arrivo e posta in partenza. Il suo racconto ci ricorda che il ferroviere, quello posto nel vagone “buttava” giù  i sacchi e un altro ferroviere, sotto, lungo la banchina, “tirava” su, e poi, su, quando il treno ripartiva, si smistava.  Una catena di montaggio. Solo che a muoversi era il treno. E il pensiero correva a tutti quei pacchi, e non tanto al contenuto, che non si saprà mai, quanto elle emozioni che potevano contenere tutti quei contenitori che emanavano profumi, di montagna e di mare, di pizza e di torta, e di mille altre cose. Le attese, le speranze, l’arrivo. E poi scartarlo. Il pacco.   Chiedere al telefono se era arrivato o meno, se si faceva in tempo a prenderlo o no, prima che la posta chiudesse. E le emozioni all’atto dell’apertura di quell’oggetto che avrebbe sostituito così una relazione non a distanza. Tutto questo fino a quando non arrivo’ il pacco celere a rovinare tutto quel piccolo mondo antico…insieme ai cellulari, ovviamente. “Ci sarebbe da distruggerli sotto i piedi”. E difatti, qualcuno lo fa, o lo ha fatto. Racconta, racconta, racconta…..quanta gente ha visto viaggiare e attendere l’alba per il primo treno.  E’ un “Pozzo orario” vivente questo signore.  E’ coinvolgente, e con lui si riesce ad essere pazienti. Tutti. Racconta di quando il personale era in abbondanza e “i ferrovieri erano ferrovieri” , quando formavano una classe, fino a quando…Il mercato non impose i suoi tagli e un modo nuovo di viaggiare. “Ma chi è il mercato, domanda?” Pero’ conosce il periodo delle lenzuola d’oro e degli scandali.  Poi passa una signorina, giovane, carina, capelli ricci e rossiccia, efelidi sul viso, a controllare i biglietti, pinzarli e augurare buon viaggio a tutti. Lui le mostra la sua tessera da ex ferroviere e quindi, viaggio gratuito ma meritato. E’ raggiante. Si dichiara suo collega, nonostante abbia 80 anni. Le ricorda di come si era assunti una volta, mentre ora le signorine  sembrano tutte assunte,  appena terminato il concorso Miss Italia, direttamente da Salsomaggiore.  “Sa, signorina, lei è proprio bella, come le sue colleghe”, le dice.  Attira simpatia e pazienza e, pazienza se ripete le stesse cose. Non fa nulla. Addirittura riesce a strappare un applauso. Per aver fatto un pezzo. In questo Paese. Un pezzo importante sui binari della vita. Al riparo da massicciate. Il suo racconto per un po’ di tempo mi aveva indotto a dimenticare per quale motivo stessi tornando a Ravenna…C’era una cassettiera e una scultura che….Foto Romano Borrelli (2)

Foto Romano BorrelliRavenna. Foto, Romano Borrelli (2)Ravenna. Foto, Romano BorrelliRavenna. Foto, Romano Borrelli (3)Ravenna. Strele di  defunto Caio Cassio Seneca, in vita centurione già congedato. Foto, Romano BorrelliRavenna. Foto, Romano Borrelli (2)Ravenna, biglietti. Foto, Romano Borrelli

A Ravenna Godo un bel Po

Ravenna. Stazione. Foto, Romano BorrelliRavenna. Da quanto tempo. Mi sarebbe piaciuto visitarla già da un po’, a dire il vero un bel Po, in uno di quei viaggi invernali, veloci, per rivedere il mare, rivedersi, una passeggiata in centro, per staccare dal lavoro, dalla ricerca. Una tesi. A tesi conclusa. Un’ipotesi.Magari con uno di quei biglietti di sola andata sotto l’albero…Ravenna. Stazione. Foto, Romano Borrelli (2)

Appena giunti a Ravenna e messo piede oltre gli scalini del treno sembra essere giunti, almeno per questa estate 2014, in altro mondo. Il passaggio dalla pioggia torinese al bel tempo romagnolo è notevole. In  ogni caso, il turista è sempre al centro dei pensieri dei romagnoli e della loro città e l’accoglienza è proverbiale. Nelle orecchie, sottovoce pare dicano: “da dove viene? da Torino? No, non puo’ piovere per sempre“, e per farti capire, da una parte che ti capiscono e si prendono cura e dall’altra che li, non piove quasi mai, ecco un ombrello, ma non a portata di mano. Lo indicano. Posato in un posto lontanissimo e difficile da prendere. E’ in attesa. Ma lontano dalla presa, fuori dalla portata di ogni uomo o donna di media altezza. Il cielo è di un azzurro turchese. Fa caldo. Si sta bene. La gente, le ragazze, i ragazzi, si accalcano alla fermata dei bus e continuamente li senti chiedere: “Quando passa il bus per Mirabilandia?”. Beati loro pensi. E pensi a quanto siano fortunati ad avere il mare, questo si, a portata di mano. Con tutta questa bellezza che contraddistingue questa cittadina. I locali dove gustare buon cibo non si contano. Così come non si contano le piadinerie e i locali più raffinati. Fra le prime, ma senza far torto a nessuno, perché da turisti  si entra in un locale quando si ha fame, senza nessun calcolo preventivo, è  La Piadina del Melarancio, in Via IV Novembre, 31. .Ravenna, 23 luglio 2014. La piadina del Melarancio. Foto, Romano BorrelliUn locale con saletta interna. Alcune botti, e varie bottiglie da vino invitano ad osservarle e leggere le etichette, così, per ingannare l’attesa, durante la “chiamata” tra un numero e l’altro. Attesa che a dire il vero è breve. Inoltre fanno da corona alla botte riposta sul pavimento alcune seggiole che guardano  verso l’interno, direzione scala. Altre seggiole sono disposte nei pressi dei ripiani-mensole  per posarci i piatti con le piadine e gustarsela in santa pace. Il tutto con panorama sulla via cittadina ed il suo via-vai che all’ora di pranzo è notevole.  Le piadine sono di ogni tipo e secondo le tasche. Si legge attentamente il menù e si ordina. La caratteristica bella di questo locale è che dopo la scelta ti accomodi, se ti va, nella saletta interna, dopo aver preso un bigliettino contrassegnato da un numero. Per la cronaca, il mio era il numero 53.  Nel giro di qualche minuto, una voce femminile, attraverso un altoparlante chiama il 53 ed ecco pronta e servita su di un vassoio la piadina da me scelta. La classica romagnola, di Ravenna, ovviamente. Piadina adagiata su di un vassoio bianco, con una graziosa stampa.Ravenna. Piadina del locale La piadina del Melarancio. Foto, Romano Borrelli Un grazie e buon appetito. Posso assicurarne la bontà. Merita davvero un ritorno (La piadina del Melarancio, via IV Novembre, Ravenna). Sono convinto che tutte le piadinerie di Ravenna meriterebbero una visita, ma, come accennato, è stato il caso che mi ha portato in quella. L’intenzione era quella di un self- service nei pressi del mercato coperto, a dire il vero chiuso per lavori. Pazienza. In centro e non solo è uno sciamare di biciclette. Bellissima la ciclo officina nei pressi della stazione di Ravenna, dove si puo’ noleggiare o far riparare la bicicletta. Una visita inoltre in un locale, in via Mordani, presso Corte Cabiria (ne avevo sentito parlare a proposito di un blog di Maria Andereucci. Dalla via si accede alla “corte”. Il locale è bello.Ravenna. Ristorante Corte Cabiria. Foto, Romano Borrelli (2) Ne ho apprezzato la disposizione dei tavoli e di quanto vi era sopra. Penso a quanto si celi dietro ad ogni piatto. Saperi, sapori e la storia di ogni uomo, con il suo lavoro, le sue fatiche.Ravenna. Corte Cabiria, ristorante. Foto, Romano Borrelli  Ravenna 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli Ancora un giro in centro, che merita. Tutto a dimensione d’uomo. Il traffico, insieme alla pioggia, l’abbiamo lasciato al Nord. Piazza del PopoloRavenna, 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli è davvero stupenda. Un giro poi verso la tomba di DanteRavenna. Tomba di Dante. Foto, Romano Borrelli e molto altro ancora. Davvero, una città che merita. Lascia un sorriso. Lungo il viaggio. E non solo.

Foto Romano Borrelli

Un sorriso che ti accompagna lungo il viaggio. Un sorriso che continua. Dal primo paese dopo Ravenna. O prima di Ravenna. Un senso di godimento che permane. Per un bel Po.Foto, Romano Borrelli. Mercoldedi 23 luglio 2014

A Ravenna. Sant’Apollinnare in Classe

 

Classe, Ravenna. Mercoledi 23 luglio 2014. Foto, Romano BorrelliSant’Apollinare. Festa del patrono di Ravenna. Dal 17 al 24 luglio, tanti eventi nella cittadina.

Ravenna davvero merita. Di andarci, ritornarci e…restarci quanto possibile.

Appena fuori dalla stazione di RavennaRavenna, stazione. Foto, Romano Borrelli si puo’ prendere il bus numero 4 Biglietto Ravenna. Foto, Romano Borrelli(ricordando di munirsi del biglietto (attraversando e andando  dalla parte opposta) che nel giro di pochi minuti porta a destinazione, direzione  Classe, dove si trova la Basilica di Sant’Apollinare in Classe, fondata dal vescovo Massimiano nell’area portuale di Classe negli anni in cui venne ultimata San Vitale.  Posto alcune fotografie di questa ulteriore grande bellezza per poi commentare (ancora una volta, le scuse al lettore per il commento). Un grazie inoltre per la gentilezza e informazioni ricevute dalle guide. Un ritorno inoltre a San Vitale e Sant’Apollinare Nuovo.

Sant’Apollinare in Classe la si puo’ raggiungere o con il treno (dista pochi minuti da Ravenna ed è la prima stazione andando verso Rimini) o come accennato con  il bus, il 4, che dopo aver percorso la città, entro una decina di minuti  conduce a destinazione.  (Se si volesse optare per il treno, ricordarsi di prendere il treno direzione Rimini, prima fermata). Nessuna preoccupazione  se la basilica  è situata poco fuori Ravenna e solo apparentemente isolata: è un posto ben attrezzato per l’accoglienza, con bar, ristoranti, negozi. Già un paio di minuti prima prima dell’arrivo in bus la si puo’ osservare con il suo campanile (un po’ “sghembo).  In treno invece, la si vede appena. Qualche passo in più da fare se si utilizza questo mezzo. E’ dedicata al fondatore della Diocesi e contemporanea a San Vitale, anche se, costruita con una concezione diversa da quella.  Esternamente, dalla parte opposta della Basilica un grande prato e, prima di accedere una  statua dell’Imperatore Augusto su piedistallo di bronzo col braccio alzato, collocato ai margini della strada. La Basilica nella costruzione è particolare per l’utilizzo dei mattoni, di forma allungata, che donano l’idea di essere appena “usciti” dal forno. E poi, da notare la lunghezza della Basilica, cinquanta metri e la larghezza, una trentina. Osservare le finestre, ad arco, le colonne in marmo che trascinano lo sguardo del visitatore verso l’abside,  i loro basamenti rettangolari, i pulvini. La Basilica è una sala rettangolare, piuttosto alta con navate laterali e soffitto a capriate. E il trionfo dei mosaici.  La cornice dell’arco trionfale è zeppa di motivi, con tante nuvole. Al centro troviamo Cristo che benedice e ammaestra e accanto gli evangelisti sotto forma di simboli: l’aquila, l’uomo, il leone, il toro, tutti alati. Appena sotto dodici pecore escono da due citta, che sono Gerusalemme e Betlemme.

Al centro del catino absidale troneggia il segno tipico di questo periodo: la croce gemmata (da ricordare che è presente anche a San Vitale). Croce gemmata come Gloria delle glorie, da strumento di morte a strumento di vita. E’ collocata sopra l’altare maggiore, una enorme immagine pensata in rapporto alla comunità che si raduna davanti all’altare, facendo interagire i tre elementi fondamentali: l’immagine, il rito liturgico e la comunità credente. Apollinare e le pecore che “abitano” i pascoli del cielo.

L’abside è inoltre suddiviso in due parti. Nel semicerchio inferiore troviamo i successori di Sant’Apollinare, nel vescovado ravennate. (in numero di quattro). Nella parte superiore si nota un cielo percorso da nuvole e le figure di Mosè ed Elia con un grande “disco” di stelle, una specie di aureola e una grandissima croce gemmata con al centro l’effige di Cristo. Tre pecorelle che sono identificate con gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Al di sopra, una mano: la mano di Dio. Una mano che sembra forte e ben disegnata. Il tutto in una visione della “trasfigurazione” del Tabor.

Sopra, la Croce che rappresenta Cristo, troviamo la mano del Padre e a sinistra e a destra due mezze figure identificate con le scritte di Moyses e Helias

Sotto, un prato con fiori, alberi e rocce. Una pecora da una parte e due dall’altra come accennato. Tutte e tre che guardano verso la grande Croce.  Altre dodici che camminano come fossero in fila indiana, in direzione verso Sant’Apollinare (nella figura del prete-pastore, martire, partono della città e di questa bellissima basilica), “parato” per la liturgia eucaristica con mani in posizione “orante”. La raffigurazione del Vescovo che celebra e appena sotto l’altare usato per la celebrazione: elementi che si stratificano e che fanno “parlare” i tre elementi accennati sopra.

I due pilastri dell’abside raffigurano ancora in ordine, sotto le pecore che escono dalla città, una palma, l’Arcangelo Michele e l’ Evangelista Matteo. Dalla parte opposta, sotto le pecore che escono dalla città, una palma, l’Arcangelo Gabriele e un Evangelista. Da notare che l’Arcangelo san Michele (idem per la parte opposta con Gabriele) non ha né spada né lancia ma un’insegna, al pari dei militari romani, un labaro, insegna militare romana su cui si legge  per tre volte in greco la parola Santo.

Le palme rappresentano il Paradiso.

 

Sant'Apollinare in Classe. Foto, Romano Borrelli. 23 luglio 2014Sant'Apollinare in Classe. Mercoledi 23 luglio 2014. Foto, Romano BorrelliSant'Apollinare in Classe. Mercoledi 23 luglio. Foto, Romano BorrelliClasse. Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano BorrelliSant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (4)Sant'Apollinare in Classe. Gli evangelisti, verso il Cristo e la mano del Padre. Foto, Romano Borrelli

Sant'Apollinare in Classe. Mercoledi 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (3)Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (2)Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto di Romano BorrelliSant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (5)Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (3)Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (6)Sant'Apollinare in Classe. Sarcofagi. foto, Romano Borrelli

Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. Foto, Romano BorrelliSant'Apollinare in Classe. Foto, Romano Borrelli. 23 luglio 2014 (2)Sant'Apollinare in Classe. 23 luglio 2014. I particolari mattoni allungati. foto, Romano BorrelliSant'Apollinare in Classe. Targa Basilica. Foto, Romano Borrelli

A Ravenna

cartina, biglietto Ravenna circuito opere

 

Ravenna, 20 luglio 2014. San Vitale. Foto, Romano BorrelliRavenna. San Vitale. A sinistra, Sara che sorride. Le è stato annunciato che presto sarà madre. Foto, Romano Borrelli.Ravenna 20 luglio 2014. San Vitale. Foto, Romano BorrelliRavenna. San Vitale. Atto di togliersi i sandali. Foto, Romano Borrelli.Ravenna 20 luglio 2014. Il Battistero. Foto, Romano BorrelliRavenna, 20 luglio 2014. Mausoleo Galla Placidia. Foto, Romano Borrelli (2)Ravenna, 20 luglio 2014.  Mausoleo Galla Placidia. Foto, Romano BorrelliRavenna, 20 luglio 2014. Il Battistero. Foto, Romano Borrelli.Ravenna 20 luglio 2014. Sant'Apollinare Nuovo. Foto, Romano BorrelliRavenna, 20 luglio 2014. Sant'Apollinare Nuovo. I re Magi. Foto, Romano Borrelli

Nonostante siano passate alcune ore dall’arrivo, continuo a stringere il bicchierino di plastica tra le mani, all’interno del quale vi era il caffè: “Un sorriso lungo un viaggio”, mi ripete il cartoncino.  Lo osservo e continuo a sorridere e restare meravigliato di quanto un viaggio possa, in termini di emozioni, donare. La meraviglia, quella bellissima cosa che ci accompagna quando siamo piccini e che lungo il corso degli anni, pian pianino ci lascia. Quando l’ingenuità, la semplicità, la bellezza per ogni singolo mosaico di quello che si chiama natura, vita e lentamente ai nostri occhi nasce ogni qual volta si manifesti, col tempo si perde, evapora, lo deterioriamo, lo consumiamo, con la nostra malizia, egoismo, individualismo. Le cose più importanti, si perdono, per strada. La velocità ci assorbe. Riduciamo spazi e distanze e non sappiamo cogliere e apprezzare tutto quanto ci è stato donato in deposito. Il guaio è che spesso, tutto quell’Amore lo deterioriamo anche, non riuscendo a dare la giusta importanza all’amore, alla solidarietà, alla fratellanza.  Un amore poco coltivato, poco concimato.  Intese strette nelle apparenze. Sfilacciamenti e frasi lasciate a meta’. Devo ammettere con molta onestà, di avere avuto poche occasioni di meravigliarmi nell’ultimo scorcio.  Questa del viaggio nella grande bellezza di Ravenna si è rivelata un’occasione. Con la speranza di implementarla in un continuo processo che si chiama crescita. Una meraviglia doppia se penso che, anni fa, in tempo di studio universitario, a Ravenna ci andai, ma non mi sfiorò minimamente  di intraprendere il circuito di questa bellezza. Ecco, questa è la riprova di quanta poca attenzione poniamo nella bellezza, nella delicatezza e nelle attenzioni che altri, Altro, ripongono in noi. Come andare in una città d’arte e restare fermi alla stazione. Una ulteriore premessa va fatta al lettore: non sono un esperto dell’arte né tantomeno ho alle spalle corsi universitari di storia dell’arte. Ho  cercato di aprire i sensi e svilupparne l’ulteriore, senso, quello della bellezza.  Ecco, prima di staccare il biglietto per Ravenna e per quel bellissimo circuito tra Arte cristiana, arte sacra, storia, teologia, una parentesi all’interno di quella che è la storia di ciascuno di noi.   Era un imperativo morale, tornare e testimoniare, stima fiducia, lasciare orme, lì, sulla sabbia di velluto in qualche estate trascorsa e ribadire che  qualcosa di forte era rimasto davvero, a Senigallia. Esprimere solidarietà anche a distanza di un paio di mesi. La velocità azzera le distanze, ma non tronca le radici. I rapporti umani, sinceri. Tantomeno l’amore.  Dopo aver salutato questa cittadina, in treno verso Ravenna. E con un treno regionale che permette di ammirare la bellezza di questa terra, dei paesi che si attraversano. Ravenna 20 luglio 2014. Sant'Apollinare Nuovo. Gruppo maschile, lato opposto al gruppo femminile. Foto, Romano Borrelli.Ravenna, 20 luglio 2014. Sant' Apollinare Nuovo. Interno. Foto, Romano BorrelliRavenna, 20 luglio 2014. Sant'Apollinare Nuovo. Offertorio di donne. Foto Romano Borrelli

 

Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, il Battistero, il Museo Arcivescovile e la Basilica di S.Apollinare Nuovo.

 

San Vitale è la stupenda chiesa ravennate costruita a partire dal 520.  Voluta dal vescovo di Ravenna, Ecclesius, la Chiesa si ispira a quella costantinopolitana dei Santi Sergio e Bacco, presentandosi con un particolare “effetto labirinto” di Santo Stefano Rotondo. La Chiesa di San Vitale è un ottagono, una forma che per i Padri della Chiesa aveva il richiamo nell’eternità. E’ il riferimento all’”octava dies” ossia l’ottavo giorno che va oltre quello che è il tempo dell’uomo di sette giorni. E’ il cosiddetto “giorno nuovo” , il giorno senza tramonto di Cristo Risorto. Ma l’ottagono, passando dal corridoio al centro diviene un bellissimo centro di luce. Un effetto da Luce nella luce. Una breve parentesi solo per ricordare con l’aiuto del testo ”L’arte sacra in Italia”, di Timothy Verdon,  due punti fondamentali. Con la rottura politica tra Costantino il Grande e il Senato romano nel 326 e la fondazione di una nuova capitale nel 330, Costantinopoli, il fulcro del potere militare ed economico si era spostato verso est e  che le grandi Chiese romane del fine IV secolo e V secolo vennero realizzate dai papi e da singole comunità e non più dagli imperatori. “Il mecenatismo imperiale in Italia si concentrò invece sulla piccola città portuale della costa adriatica, di fronte alla Dalmazia”, testa di ponte per le operazioni militari degli imperatori d’Oriente.  A San Vitale i mosaici insistono su aspetti liturgici e contesto ermeneutico.  Bellissimi quelli con l’imperatore Giustiniano e l’imperatrice Teodora con le loro scorte,  il vescovo Massimiano che nel 547 ultimò San Vitale e Giuliano Argentario che ne aveva sovvenzionato il progetto.  Si osserva Cristo risorto vestito della porpora imperiale assiso, sui cieli, una sfera celeste, che reca una corona gemmata al martire Vitale alla sua destra. Non manca inoltre il rotolo dei sette sigilli, un elemento che induce a comprendere come di lì a poco si  giudicherà la storia umana. E poi ancora Abele, Abramo, Melchisedek, il passato, e Giustiniano e Teodora, il presente. Abele che offre un agnello diviene figura della Chiesa che offre l’Agnello Cristo mentre  Melchisedek  offre pane e vino: personaggi ed eventi che riferiscono all’Eucarestia.  Da notare inoltre tra Abele e Melchisedek un particolare,  “la mano”. Un’immagine che riporta alla presenza di Cristo, nell’Eucarestia,  Ostia innalzata all’altare di San Vitale, presenza di Cristo in mezzo alla Chiesa. Una presenza continua, pegno di futura gloria.

Per quanto riguarda San Vitale occorre notare il Cristo regnante fra due angeli. Cristo seduto sul globo che si inserisce sulla terra. Alla destra si nota San Vitale nell’atto di ricevere la corona. A sinistra il vescovo Ecclesio che porta un modellino della chiesa che farà costruire di ritorno da Bisanzio sotto il regno dell’imperatore Giustiniano. Cristo indossa una veste che riporta una lettera, la Z che sta a significare molto probabilmente Zoè, cioè vita.  La costruzione della Basilica sarebbe stata finanziata da un ricco mercante, Giuliano Argentario.San Vitale, Ravenna. Mercoledi 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli

Appena sopra Abel e Melchisedec , dove il primo rappresenta il sacrificio “gradito a Dio” (è assente qui dal quadro Caino e la collera omicida perchè il delitto e il male non sono mai rappresentati) e il secondo,  l’offerta di Melchisedech considerato il primo dei sacerdoti, del pane e del vino che  sono una prefigurazione dell’Eucarestia, si trova il disco raggiante con al centro la lettera alfa, sorretto  da due angeli. La lettera alfa rappresenta la creazione. Gli otto raggi rappresentano il monogramma di Cristo. Il verticale, l’iniziale di Gesù, i due obliqui incrociati, la, prima lettera greca della parola Cristo e quello orizzontale che puo’ costitiure il braccio trasversale della croce che salva. Tutto insieme è da considerare un motivo solare, fonte di energia e vita. San Vitale. Ravenna. Mercoledi 23 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli

I mosaici di Sant’Apollinare Nuovo sono stati particolarmente interessanti per alcuni riferimenti. Il primo, la storia della Moltiplicazione dei  pani e dei pesci.  Il senso ultimo dell’alimentazione che Gesù diede a quanti lo avevano seguito  nel deserto. Nella moltiplicazione dei pani e dei pesci possiamo notare una duplice processione nel momento dell’offerta. Santi alla destra di chi entra e sante alla sinistra che porgono le corone a Cristo e Maria. E’ una processione in Cielo che richiama la processione durante la Santa Messa, nell’offertorio. Si comprende con attenzione quindi il significato liturgico e dei segni liturgici. Un altro aspetto che ha conquistato la mia attenzione è stata la rappresentazione dei Re Magi e la raffigurazione della Madonna con il Bambino. E’ la raffigurazione di uno slancio dei Re Magi che precedono ai piedi della Vergine Maria il corteo delle sante. Gaspare, Melchiorre e Baldassare in atto di porgere l’oro, l’incenso e la mirra. Il mosaico rappresenta i Re Magi come avessero fretta e sono guidati dalla stella ad otto raggi. Oltre alla fretta che sembra trasparire sono inoltre attirati dalla mano di un angelo (la stella è poco in alto a destra dell’ultimo dei Re Magi).

Nella zona superiore di Sant’Apollinare Nuovo si notano due serie di quadri che rappresentano, a destra e a sinistra scene della vita e della passione di Cristo. Tutta questa parte dell’edificio costruito sotto Teodorico risale all’epoca ariana. In questo articolo posto la scena del mosaico che ci rappresenta il Cristo davanti a Ponzio Pilato in quanto piuttosto evidente, e la Cena. Il racconto della Passione si apre con la Cena ma in maniera diversa da quella che conosciamo con il capolavoro di Leonardo da Vinci, raffigurante il Cristo al centro di una tavolata rettangolare. La tavola in questo mosaico è semicircolare e di tipo romano. Il Cristo occupa il primo posto a sinistra alzando la mano in segno benedicente. Gli apostoli sono invece disposti a ventaglio. Osservando attentamente quattro apostoli guardano Cristo che pare aver detto che qualcuno presto lo tradirà.  Gli altri guardano verso Giuda. Sulla tavola posati su di un piatto di stagno si notano due grossi pesci, probabilmente due cernie dell’Adriatico.  La coppa del vino non è presente in quanto l’illustratore pare abbia seguito il Vangelo di Giovanni che non menziona l’episodio, ma anche in quanto gli ariani la cui teologia scivolava nella mitologia abbiano preferito arrivare al più presto alla vittoria di Cristo. Ravenna. Sant'Apollinare Nuovo. La Cena e Gesù nel giardino degli Ulivi. Foto, Romano BorrelliRavenna. Sant'Apollinare Nuovo. Mosaico, Il Cristo davanti a Ponzio Pilato. Foto, Romano Borrelli (Altre scene che si vedono nella Basilica sono La Cena, Gesù nel giardino degli Ulivi, Il bacio di Giuda, Gesù davanti al Sinedrio, L’annuncio della negazione di Pietro, La negazione di Pietro, il Cristo davanti a Ponzio Pilato che ho “postato”, la salita al Calvario, la Risurrezione, la tomba vuota, l’incredulità di Tommaso. Si raccomanda di alzare gli occhi e di dotarsi di un buon apparecchio fotografico). Ravenna, 20 luglio 2014. Sant' Apollinare Nuovo.Offerta dei doni, Re Magi con Gesù Bambino in braccio alla Madonna. Foto, Romano Borrelli. Un bambino dalle sembianze adulte. Infine, dopo aver ammirato ad oltranza tutta codesta bellezza, un giro nelle cappelle laterali dove pare di essere a Torino, a due passi da casa, con la presenza di Maria Ausiliatrice e don Bosco. Il senso di casa è stato ancora più forte.

Ravenna 20 luglio 2014. San Vitale. Foto, Romano Borrelli (2)Ravenna, 20 luglio 2014. Mausoleo Galla Placidia. Foto, Romano BorrelliRavenna, 20 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli.Ravenna 20 luglio 2014. San Vitale. Foto Romano Borrelli

Senigallia…a “lume di candela…”

Senigallia. 19 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli

Senigallia. Sabato 19 luglio 2014. Foto, Romano BorrelliIl mare è calmo, la spiaggia è bella, anzi, “vellutata”,  l’accoglienza idem. Senigallia a…lume di candela, ci puo’ stare. Per un paio di volte…perdoniamo tutto, dopo “le ferite”. In fondo, vedere un “mare” di cellulari accesi nello stesso istante per “farsi strada“, o per farsi mare,  utilizzati come fossero torce, è stato uno spettacolo nello spettacolo. Centinaia o migliaia di cellulari, mani alzate e danze lente imposte dall’occasione. Zero panico, per la cronaca. Solo spettacolo. E nonostante questo variegato mondo danzante, appendice umana, quasi una terza mano, nella danza di luci pare in fondo che  qualcosa manchi sempre.  Per quanto ci si sforzi di riempire i “buchi” qualcosa manca.Senigallia. 19 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli (2)E siamo continuamente alla ricerca di Luce nella luce. Ad ogni modo, questo agitarsi di cellulari  non era uno spot, ma una esigenza…”Le Marche non abbandonano mai“.  Anche in questo momento mentre scrivo, un altro black out. “Ma che succede stasera co sta luce?” in una cadenza marchigiana. Un altro dice: “e mo che fago?”. Non aveva il cellulare e aveva già perso di suo…anche la comunicazione sincopata…(ORE 23 10).

Senigallia. Una cittadina che meritava e merita la visita. Un imperativo categorico esserci, dopo il fango e le tante lacrime versate. Bisognava esserci, testimoniare anche a distanza che un altro mondo e ‘possibile, che lentamente si puo’ ricostruire. Un atto di stima e di fiducia. Per una delle più belle spiagge italiane. Di velluto. Un segno piccolo, il mio, ma importante. Esserci. Per una stetta di mano, a chi ha patito l’alluvione e fatica, in silenzio, con compostezza. In questa cittadina, dove i nomi degli alberghi rimandano  a cose e luoghi particolari e nazioni oltre confine. Un saluto, una stretta di mano a chi, in fondo, si è trovato a vivere una calamità come l’alluvione di maggio. Alluvioni capitati anche nella nostra città, Torino. Nel 1994 e nel 2000. Acqua alta, tutto da rifare. Nel racconto di chi l’ha vissuto qualcosa di simile in chi lo ricorda nella nostra città. Solidali con la nostra città, con il nostro Borgo, dove la Dora esondo’ generando disastri. E allora, se si puo’, nonostante la crisi che morde, un passaggio lo merita. Insieme ad una stretta di mano al sig. Rocco e famiglia. Spiaggia e mare meritano davvero. E l’accoglienza proverbiale. Una cittadina, che, come detto altre volte su questo blog, un biglietto lo merita davvero.DSC01254

Poco prima che andasse via la luce, anzi, La luce, osservavo  qualche libro depositato qua durante la giornata piuttosto afosa. Proprio là, su quei  lettini che di li a poco sarebbero serviti a tanti, per riposare le stanche membra, fino al sorgere del sole. Quel “deposito” di pagine scritte mi induceva a pensare come possono essere considerate  le letture estive;  forse migliori, più spensierate, meno esigenti rispetto a quelle invernali, che obbligano a tornare indietro, riflettere, ripensare su di un passo appena letto e magari non colto. L’inverno esprime una esigenza. Siamo intolleranti. Permalosi. Puntigliosi. D’estate le pagine del libro si bagnano e  dalla carta, al tatto con le dita, si sprigionano odori particolari, misti al dolce di crema solare. Sono odori pregnanti. Ecco, nella brutta stagione, sarebbe davvero un guaio, avere un libro bagnato. Guai se qualche goccia d’acqua, fiocco di neve, o altro si lascia cadere sulle pagine del libro. Lo proteggiamo fino alla fine. Lo foderiamo e cerchiamo di preservarne la sua dignità. Guai a chi lo tocca. D’inverno è più probabile che i neuroni specchio si facciano sentire maggiormente. Puo’ essere che le gocce arrivino a contatto con la carta. Ma di quali gocce stiamo parlando? Forse la solitudine e il mare reso deserto, le folate di vento che ti aggrediscono e senti sul viso quell’umor acqueo che ti spieghi con gocce marine, ma in realtà sai benissimo che è la commozione, l’empatia, per una storia che diventa grande, che si intreccia e si dipana in una d’inizio, a metà, e il finale. E forse il finale e’ quello che si capisce meglio d’inverno, quello che risveglia i neuroni specchio. Addentri, aderisci al personaggio perfettamente. Una storia d’amore che si deposita in un clima d’angoscia e d’attesa. D’estate invece le pagine corrono via velocemente. Forse partecipiamo meno alle vicende, alla storia. Si ha forse voglia di concludere in fretta il libro. D’inverno si ha come l’impressione che emergano tutti insieme gli stati femminili presenti e che emergono  nei personaggi raccontati…solarità, mistero, fragilità. Almeno cosi’ mi pare, cosi’ sembra. E mentre cosi sembra si prova a mettere insieme libro e vita , cose lasciate indietro  e che continuano a stare  a vivere “accanto a noi”. Cose che camminano su strade parallele alla nostra, appena qualche metro piu’ indietro. Questo credo per causa di quello che tra me e me da anni chiamo il 49%” (Maria Perosino, “Le scelte che non hai fatto“). Cosa resta di quel 49% rimasto in panchina? Cosa resta di una scritta sulla sabbia mesi prima, di una citta’ che no si vedeva da tempo e che abbiamo lasciato, magari a malincuore, mentre una porta dopo l’ altra si chiudevano, a partire da quella di un bar, di una sala d’ attesa, di un treno e  che inizia il suo lento veloce movimento nel viaggio del ritorno? Resta in panchina…. quel 49%, avvolto da una eterna giovinezza. Lo si incontra,  spesso, magari nella malinconia, solitudine, nel rispolverare un album di foto, qualche scontrino, un foglio scritto sul bancone di un treno, o un biglietto dello stesso. Si incontra, come si incontra una persona speciale. Basta poco e la ritroviamo davanti. Pensieri…a cavallo tra l’inverno e l’estate. Pensieri in viaggio tra disegni, di vita e mosaici.. Il bicchierino di caffè, stretto tra le mani, recita, “un sorriso lungo un viaggio”. Un viaggio nel viaggio. Estate. Luce nella luce.Foto, Romano Borrelli.

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Un caffè veloce

Caffè espresso...in treno. Foto, Romano BorrelliSabato 19 luglio 2014. Ancona, Piazza del Papa. Foto, Romano BorrelliAvere voglia di farsi inghiottire da storie comuni e poi prendere un caffè, un tempo altrimenti detto espresso, ora, a digeribilità…Più lo mandi giù e più ti porta verso…Sud. Qua e là per l’Italia la canicola si fa sentire. Per il momento fa caldo e su strade, autostrade e ferrovie un bel po’ di movimento. Qualcuno sostiene che presto ci sarà una nuova perturbazione dalla vita breve, infatti da mercoledì tornerà la bella stagione. Per il momento il 76% ha deciso di rimanere in Italia. Qualcuno riferisce coda sia lungo il Brennero sia lungo l’Adriatico. Al mare la regina pare essere la camicia. Rigorosamente bianca. E anche il bianco, pare essere di moda, non soltanto nelle cene che si stanno organizzando in giro per l’Italia. DSC01239 Anche se, a mio modo di vedere, dai panni stesi,  un po’ di tutto è di moda. Panni stesi ad asciugare, simbolo di tanta e ricca umanita’. E a ricordare come esattamente 13 anni fa qualcuno fece “guerra” agli aspetti piu’ umani, a Genova, in vista del G8. Nascondere con barriere le cose piu’ semplici. E poi il mondo vide altro. Come la forza del potere e la sospensione della democrazia, non solo, di stendere quel che si ha. Le mutande facevano vergogna, e la democrazia sospesa invece? Le navi entrano in porto, a “passo” lento.  Lentamente quella balena galleggiante che si chiama nave da crociera,ingoia auto, camion, a passo d’uomo. I semafori danno il via libera o lo stop. Il mare luccicante la circonda e lei sbuffa quasi come se le onde le facessero il solletico. E forse ci sta, un pochino. Mi è sempre piaciuta la metafora della nave che entra in porto, abbinata allo stato d’animo di ogni uomo.   Un entrare in porto, al sicuro. Il traguardo, nell’arco della vita.La sicurezza degli e negli affetti e nuovi step. Per poi magari, di tanto in tanto, sbuffare, tanto per cambiare. Inverno o estate che sia, non mi ha mai infastidito, il mare. Il quadro è sempre stato piacevole. Certo questo luccichio e’ un piacere. Verrebbe voglia di farsi un bagno e farsi fare il solletico dalle onde, cosi’ come lo fanno alle navi. Un paio di navi sono già in attesa, pancia in giu’, o in su, così come il popolo dei vacanzieri esulta e chiacchiera sul “tetto” di questa piattaforma alta come un palazzo. Alcuni sono già seduti, in poltrona, comodi come dei Papa. Alcuni sulla banchina giocano, per ingannare il tempo. Sotto, mentre gli altri sono già sopra.Il porto, questo porto, cosi tanto caro, le corse di Nanni Moretti nel film La stanza del figlio, il centro, piazza del Papa e il caffe’ al mattino presto quando anche il porto sonnecchia e qualche autobus comincia il suo giro. E ancora la piazza del centro, il parcheggio sotterraneo e il dipinto del Presidente Pertini. Sulla banchina, la dove termina il tronco della ferrovia e un’insegna blu ci ricorda che siamo in Ancona Marittima, alcune bandiere piazzate a mo’di trofeo   ne evidenziano la provenienza dei gruppi in attesa immersi tra gli odori di creme solari e autan contro le zanzare. Una radio, di quelle che ormai non si vedono più riecheggia la voce di Fiorello, con la “Rotonda sul mare”. Pare un caso, ma di lì a poco, una coppia, appena sposata si esibisce per il proprio bookSabato 19 luglio 2014, mar Adriatico, Senigallia. Foto, Romano Borrelli.DSC01227Foto, Romano Borrelli. Panni stesi ad asciugare, al mare.Reggio Emilia. Foto, Romano Borrelli

Un violoncello a Porta Susa. Per le strade di Mozart

Torino Porta Susa. Venerdì 18 luglio 2014. Violoncello in cammino. Foto, Romano BorrelliJazz, cambia la musica per i pendolari torinesi? Jazz, è  il nuovo treno consegnato oggi. Uno dei 70 che infoltiranno il parco mezzi entro il 2015. Speriamo davvero in un servizio migliore.  Anche se qualcuno, nel  vedere Sergio, gli fa i complimenti accompagnati anche dal solito verso: “esageruma nen”. Nel frattempo, altra musica si “muove” e si sente, o ascolta, per le strade di Torino. Lungo i viali alberati della nostra città, qualche violinista provava, qua e là, nel pomeriggio assolato. Ma le grandi note degne di essere ascoltate componevano la loro musica nel luogo più transitato delle città: la stazione. Difatti, tra i più che si accingevano a partire o prenotare per le vacanze estive, quel  che colpiva era  un violoncello, solo soletto che camminava nell’atrio di Porta Susa.  Eppure se lo avvicinavi la musica era davvero mielosa. Corde. Quante e quali cose abbiniamo a questa parola. Musica nelle corde, filosofia nelle corde, teologia nelle corde, essere sulle corde, non tirare le corde…raggiungere la vetta con l’aiuto delle corde, recidere le corde…Quanti e quali contenuti con questa figura.

Pero, lasciamo camminare questo violoncello per la città, come una nota in cerca dello spartito giusto. Musica “da o per Porta Susa. Questa si che per la stazione è una musica nuova, inedita, nel primo giorno di vera estate.  Una musica bellissima. Quanti ricordi quando proprio nella nostra città c’era il Salone della musica…Quella si che era altra musica…d’altri tempi. Il violoncello ha un incedere “classico” ma contemporaneo. Ha nelle corde qualcosa di gioioso, soave.Torino Porta Susa. Violoncello in cammino. Venerdì 18 luglio 2014. Foto, Romano Borrelli.

Da oggi, quindi, a Torino, il don Giovanni di Mozart. “Suona di qua, suona di là, suona per tutta la città”, e non solo nel salotto buono della città. Una piazza torinese trasformata in un teatro a cielo aperto. Serate a temi e a…corde. Corde da suonare, non da…tirare. Comincia cosi’ la sei giorni di Mozart in citta’.La storia del seduttore seriale per eccellenza, don Giovanni, per Torino.  Una donna Elvira, una delle donne sedotte e abbandonate da don Giovanni sara’ interpretata da una attrice, Lucilla Giagnoni. Arie e romanze delle opere liriche  che si cantavano nel 700 e 800. Programma gratuito e fittissimo in più luoghi, proprio “per le strade di Mozart“. Anzi, di Torino, che vedra’ una selezione dei brani pi’significativi. Si comincia questa sera alle 21.30. Ne sentiremo delle….belle. Ed allora, se la piazza diventera’ un teatro a cielo aperto,  bhe’, “Deh vieni alla finetra” ad ascoltare e vedere tanta grande bellezza. E nella grande bellezza di queste serate, “La’ ci daremo la mano”.  E come da un articolo di questo blog, apriremo le finestre su questa piazza torinese, divenuta molto europea, per dire…”Ben (staccato, come da scritta sotto la finestra) …tornata”.

Ma le sorprese non terminano certamente con” la nota degna di nota”. Niente affatto. Un bellissimo giardino, formato estivo, accoglie vacanzieri in arrivo e partenza, proprio fuori dalla stazione di Porta Susa. Un uomo con un innaffiatoio intento a bagnare l’aiuola.Torino  venerdì 18 luglio 2014. Stazione Porta Susa, vecchia. Giardino stazione. Foto, Romano Borrelli