La sedia della maturità

Maturità. Ultima sedutaSedia, sedia delle mie brame, chi è stato il più bravo del reame nella scuola della maturità?”. Cara sedia, non solo sei presente in religioso silenzio a domande continue, ora dal Presidente, ora dai commissari, ora  dal pubblico che assiste alle interrogazioni ma tanta invidia traspare ogni qual volta occhi paurosi, timorosi, attenti, ansiosi dei ragazzi (e) convergono  su di te, su quelle preziose mattonelle sulle quali ti hanno inchiodata.  Ma tu, sai come prenderti al rivincita inchiodando, per l’ultima volta, dopo anni, il candidato.  E i poveri maturandi, a domandarsi: “Ma a chi tocca, dopo?”. “Ma quanto la tengono, lì, sulla sedia?”. Quanta invidia. Quante volte ti sarà capitato di dire al termine di ogni seduta “che c..o”! Ovviamente per la valutazione a “doppia cifra” del maturando! Quante ne avrai viste? E quante, sentite? Chissà quante volte avrai pensato tra i “tuoi denti”  di legno che sorreggono forme, “non ti alzare, non ti alzare, ti prego, non ti alzare”. Ma poi, anche quando cio’ avviene, non ti dai mai pena perché tanto, non finisce mica lì.  La maturità è un po’ come i mondiali. Una scia lunga un mese. Emozioni grandi. Da coppa. Beata te, sostengono in molti. E già: “che c..o”! Da par condicio: F e M che ti accarezzano in continuazione. E che tu, accarezzi, ovviamente.

Tra un candidato e l’altro, qualcuno “butta un occhio”, scostando appena l’uscio per non innervosire il Presidente, per vedere a che punto sei. Ti sarai affaticata? Ti sarai spostata di qualche piastrella?  Uno dei candidati mi dicono abbia preparato una tesina che aveva a che fare con la psicologia, con l’analisi, con l’inconscio, i sogni. Dovrebbe essere una bella tesina. Probabilmente in alcuni casi si potrebbero evitare le sedute in analisi. Probabilmente. Chi lo sa. Sarebbe stato utile approfondire il tema, se solo il tempo…Una tesina multidisciplinare. Che affonda le radici nella storia, ricca di storia d’altri tempi. Tra gli aspetti psicologici-filosofici e quelli storici, a dire il vero, preferivo questi ultimi. Davano una certa consistenza. I primi inducevano a pensare ad un dolore paragonato ad un gomitolo di lana. In un romanzo la protagonista si riprometteva di  coadiuvare la sua meta’ in un’ attenta diminuzione di quel gomitolo, tranne poi indurlo ad aprire un negozio, talmente tanta era stata la produzione di lana. Paradossi. Corridoio della scuola, manica lunghissima, spazio vuoto tra vite piene esposte in vetrina. Vite in vetrina sfogliate, lette e valutate. Sequenze di quadri lungo questa autostrada che portera’ chissa’ dove, cominciata  un lustro fa. Fotografie, frammenti di giorni andati che tornano nella mente come lampi. E parole commerciate e consumate. Consunte, lacerate, tirate a proprio vantaggio.  Tesine. Argomenti piu’ disparati e un pieno di emozioni quando un candidato la stringe forte al petto e dice: “la regalero’ ad unapersona impirtante. L’abbiamo scritta insieme. Contiene argomentazione, giorni e notti”.

Quante parole consumate, costruite, in una tesina per arrivare a dimostrare qualcosa. Da qualche parte ho letto la differenza tra anime e persone e loro modalità di comunicazione. Come le prime, nel loro comunicare, negli stati angosciosi si allontanano per poi …sollevate, tornare a sorridersi. Ma come? Da lontano. L’aspetto psicologico prendeva l’abbrivio ma era il contenuto della storia che si mostrava particolarmente interessante. Una storia di “sosta” per un cammino  parallelo, diviso poi da qualche “accidente” per ritrovarsi alla distanza  senza mai essersi  realmente sorretti  da una forza particolare. Quella dell’amore. O del bene, direbbe Platone.  Ritrovatisi maturi, in coppia, a distanza di un anno. Tanto che questa volta, era la sedia che apparentemente si apprestava a prendersi la rivincita nel dire al candidato, quasi invidiosa della felicità altrui (mentre si apprestava a raggiungere una “metà”): “che c..o”! Ma lui in maniera impercettibile, quasi come avesse ascoltato, senza  aver raccolto la provocazione, conclude la  grande  prova di maturità. La sua, dicendo fra sé e sé: “cara sedia, questo non è c..o. Questo è bene puro. Amore mio”.

E gia’, qua’ non ci si rassegna alla diserzione delle emozioni.Anche quando gli oggetti della vita, un tramonto, una spiaggia, un viaggio, hanno poco da dirti o non dicono , al pari delle infradito d’inverno, bhe’, basta guardare chi fa la scuola per tornare un po’a sorridere.Torino, sullo sfondo, Piazza Castello. Foto, Romano Borrelli