La mia Torino 2

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Colombi. Porticato nei pressi di Porta Palazzo. Torino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Torino. Nei pressi del Comune, in bici per la messa in comune.

 

 

 

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Torino. La fine del mercato.

La mia Torino, non confluisce solo a Piazza Vittorio. Non soltanto. Almeno. La vedo convergere e confluire, dal mio “punto” di vista, verso altri lidi. Punto che non è una autovettura “lanciata” dal suolo di un  Cape Canaveral torinese, “attorniato” a mo’ di corona da numerosi locali. Piazza e piazze, meta di tantissimi, non solo il week-end, ma ogni giorno della settimana. E’ il punto di vista di chi “tira la carretta” e di chi l’ha vista tirare. I balconi, ad esempio, raccontano, e con essi, le case di ringhiera. Quante tute stese ad asciugare il sabato e la domenica potrebbero raccontare i balconi cittadini dove, proprio  in uno di questi, forse, ora si espongono e cantano alcuni artisti, così  ben raccontati dal nostro giornale “quotidiano” cittadino. E’ lo specchio dei tempi. Andati, ma attuali. Balconi, case di ringhiera, cortili, dove nel mese di maggio, mariano per la chiesa, ci si trova in gruppi, per recitare il rosario. E ti piacerebbe scrivere un pezzo  sulla storia di questi cortili, dove non si canta, oggi, ma si e’ lavorato, tanto, e si sono costruiti rapporti umani, cordiali e sinceri. Ponti tra le persone. E ora che vedi i manifesti di Maria Ausiliatrice con le tappe di approdo alla grande processione del 24 maggio, lungo le strade di Torino, li pensi e li ripensi, in questo” punto” di Torino, che non e’ piazza Vittorio, ma zona di salesiani, don Bosco e tanta sinistra. Ciascuno con la sua sforia, di quelle sentite raccontare e di quelle appena intraviste. E quanta storia e  non solo devozione, passa da questi cortili, dove si sono consumati “lavoratori” e lavori di un tempo. La bici del fornaio, la “sfornation“, come la chiamavamo noi bambini, legando quella strana bicicletta ai ricordi di una pubblicita’.  Bici pronta per la consegna mattutina con il suo cestello bianco, posto sul davanti. Profumo sparso in ogni via prima della consegna. Nelle varie comunità della circoscrizione. (la sette, Valdocco, Aurora).”Ciuchino” il panettiere, lo invidiavi, quando con la sua bici, assaporava il gusto della libertà. Ma era quella libertà, che invidiavi, non quella vita, dalle tante ristrettezze. Era un libertà “ristretta”. Il gusto dell’aria fresca, per le vie della città, il suono della fisarmonica la domenica pomeriggio, che saliva su, fino ai piani alti, fino al palazzo affianco. Ma era tanta fatica. Fornaio che talvolta invidiavi, per la sua maglietta bianca, a maniche corte, anche nei mesi più freddi. E lo invidiavi perché pareva che l’estate non avesse mai fine. Guardavi la neve, sugli alberi, sul trincerone della ferrovia, e “Ciuchino” in maniche corte e pantaloncini. Pareva che con l’estate fosse in atto il “rompete le righe” della scuola. E capitava di pensare a quella “biovetta” che avresti mangiato il giorno dopp e sul perche’ a Torino era la biovetta mentre a Milano era la “michetta”. E cosi’, il giorno prima della gita, per Milano e Pavia, finite le biovette, ti trovi a comperare le biove che ci poteva mangiafe il bus intero. E cosi’, finivi per legafe per sempre il nome del pane ad un evento, una gita, due citta’, Pavia, Milano, la Certosa e quel pane messo in uno zaino intero. Senza dimenticare che talvolta, in negozio, c’ era la mamma di ciuchino, che ti porgeva sempre il grissino, e tu, speravi sempre di vexere quella mano tesa, per ricevere quel pezzo di pane cosi tanto torinese che vedevi in alcune occasioni nelle pizzerie. “La torinese” e pensavi che la notte, al forno, ciuchino e sua mamma, avessero fatto, quei grissini per la pizzeria. E te li sentivi sempre vicini  e di colpo immaginavi partire il suono della fisarmonica, suonata da uno dei suoi figli’. Fornaio che non invidiavi, quando dal balcone di casa, notavi la luce del forno accesa,  e tutto il resto della città si apprestava a dormire; tutto questo, avveniva prima. Prima che il pane cominciassero a cuocerselo in casa, con qualche impastatrice o robe varie; la “pressetta” del materassaio e quel suo lavorare in cortile, in ogni stagione, e ti veniva da pensare “beato lui che è sempre in cortile”! quando avresti voluto andarci, ma non si poteva, perché il regolamento dei condomini impediva “il gioco del pallone in cortile”;  e la moglie del materassaio contribuiva ad ampliare quel senso di liberta’, emanato dalla forza del suo canto non sapendo piu’ bene se eravamo in quegli anni o in un’ altra Torino. Senza dimenticare i contenitori del verduriere che esponevano, lì sul corso, il “baccalà” o lo stoccafisso in quell’acqua che un po’, il mare, te lo faceva ricordare per forza, anche se uno di quei mari che non avevi mai visto; e sempre lì, nel corso, il sacco delle noccioline del “droghiere” con quella scritta dal sapore  vagamente americano. Ti femavi un attimo, prima del rientro a casa, con la cartella sulle spalle e di colpo, forse dopo averti visto, usciva il padre del negoziante, il sig. Piero, che in quel periodo pareva essere gia piuttosto anziano nel suo incedere. Infilava la mano in quel sacco enorme e tirava fuori qualche nocciolina, per la gioia dei bambini. E mentre le mangiavi pensavi a quell’ america.’Il mio punto di vista,  è di quelli di chi tira la carretta, osserva luoghi particolari, nascosti dalla polvere di un birrificio che sono stati e meriterebbero un capitolo di storia  nel e del movimento operaio. Un punto di vista  che ricorda  e conserva narrazioni altrui e dove la carretta la si tirava e la si tira ancora, come a Porta Palazzo, dove  quotidianamente ti immergi non solo in un mare di frutta e verdura. Cammini tra i colori e nei colori variopinti  delle bancarelle, con quelle tende che di tanto in tanto producono un po’ di ombra nel ciondolare estivo, sommerso da grida in una babele di lingue che, lentamente o velocemente (non saprei dire)  hanno soppiantato il  vero dialetto piemontese. Piemontese, che non era affatto “falso e cortese”. Magari, nei racconti evocati, alcune volte non “affittava” ai “napuli”, causa il cattivo uso delle vasche da bagno. Sarà poi vera la storia che non le affittavano perché usavano le vasche da bagno per piantare? Mha, anche queste, storie. Sicuramente, erano tutte dicerie. E poi, anche se soppiantato, talvolta,  il  “piemontese”  lo si usa ancora, almeno qualche parola, goffamente usata, a dire il vero,  da  qualche cinese o arabo, pur di invogliarti a comperare. Il mio “punto” di vista è di quelli che osservano chi “mette in comune” nel carretto, a due passi dal comune, tante cose, da noi considerate “cianfrusaglie” e inservibili, ma servibili a “terzi” che non sono solo “terzo”, del mondo. Ed è bello veder passare due ragazzi, con una strana bicicletta, andare per la città a  “raccogliere” e poi consegnare ai bisognosi il tutto. E quanti.  Bisogni. Punto di vista che alza gli occhi al cielo e osserva la presa in comune e in carico di due colombi, che, “tubano” e si prendono cura, uno dell’altro, come chi, alla fine del mercato,  (i raccoglitori) “mette in comune” quanto ha trovato, dividendolo, suddividendolo.  Come fosse pane appena sfornato. Scarti di altri, buoni da farci il pranzo. E qualcosa di antico, lo scarto, lo ricorda: la pietra scartata è diventata testata d’angolo. Qualcosa di buono, insomma, dallo scarto.  Insomma, il punto di vista, è una città che conserva una memoria storica da rinnovare e ravvivare. Con forti radici solidali. Questo è il metro per procedere.Dimenticavo. I personaggi raccontati nei loro gesti di bonta’,  sono tutti piemontesi, torinesi. E questa, almeno, non e’ una diceria. Cristina e’ una signora dagli occhi chiari, parecchio saggia, ma la vedi di tanto in tanto contemplare il suo forno e i tempi andati. Di tanto in tanto, porge ancora la sua mano con i grissini a qualche bimbo africano che si appresta ad andare alla scuola materna.

2 pensieri riguardo “La mia Torino 2”

  1. Bello! …è come leggere un romanzo che racconta di un vissuto passato…un passato che si lega al moderno…..il ragazzo che distribuisce il pane appena sfornato,che pedalando,respira l’aria fresca del mattino………i meridionali che,per sentito dire,usavano le vasche da bagno come orto…nostalgia dei campi di pomodoro?….e il moderno…babele di lingue,miscuglio di colori,di visi….il tempo attuale!…..e un valore sempre presente nei tuoi articoli : “comune”…come comune di Torino, ma non solo, comune come, comunicare,accomuna re, condividere,solidarietà…..memoria di ciò che Torino era….di ciò che Torino è…la città…le persone…e….anche i piccioni!………bello…veramente bello!………….lavinia

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  2. Grazie per il bel commento. A me non dispiace ricordare la Torino con i tram verdi, la Torino dei turni di lavoro, la Torino di Novelli sindaco. I bambini cominciarono ad apprezzare la piscina, una volta la settimana, il bus passava e prendeva i bambini direzione piscina colletta. I bambini facevano le visite presso lo stadio comunale dove c’era la medicina dello sport…era una Torino, ed e’una Torino…..diversa, non so dire se migliore o meno….pero a me …e cosi….ridevano.

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