Pasquetta a Torino

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Torino vista dai Cappuccini.

Pasquetta in città. Tripudio di fiori, di ogni tipo e via vai continuo di turisti. Giornata fredda, a tratti pioggia.  Nota dolente, negozi aperti, compresi alcuni centri commerciali. Nonostante il dì di festa da santificare. Nonostante le statistiche abbiano avvertito che solo un italiano su dieci si recherà a comprare. Braccio di ferro tra chi sostiene che l’apertura possa essere un volano e chi vorrebbe dedicare questo giorno agli affetti famigliari. In effetti, chi, andrebbe a comprare, oggi?

Una breve passeggiata, su uno dei “monti” torinesi, a sottolineare l’analogia con altri “colli”. Romani. Monte dei Cappuccini. Sono in molti, giunti quassù, ai Cappuccini, per ammirare la città ai nostri piedi e “stampare” una cartolina  via cellulare senza dover passare dal negozio e senza  affannarsi per un francobollo e la ricerca di una cassetta delle lettere per spedirla. Tutto “leggero”. Lungo il percorso, erba appena tagliata e profumi di piante e fiori variegati. Strada normale e sentieri. A noi la scelta. Poco distante, il lento fluire del fiume, forse alla ricerca del mare. La ricerca del riposo.  In cima, nei pressi della statua, gruppi di giovani, coppie, famiglie e anziani, che snocciolano ricordi dei tempi andati, di quando questo posto era collegato con una particolare funivia e di chi invece lo ricorda solo perché “ne ha parlato il giornale”. Chi racconta altre pasquette e chi  quando “le ultime volte che era stato qua”. Da una parte, l’arco rosso olimpiadi ci indica la zona Lingotto, dall’altro i grattacieli, indicano l’inizio (o il termine dell’autostrada Torino-Milano-

Ad ascoltare voci sagge, un tempo più giovani e più mielose, pare che un tempo, almeno per questa giornata, ci fossero treni, per Bardonecchia, uno ogni mezz’ora, o quasi. Dalle 8.30 del mattino  (o giù di li) in poi.  Il primo era sempre pieno. Impossibile l’accesso. Quelli per il mare, direzione Liguria, erano già partiti al mattino presto. Per loro, il viaggio, sarebbe stato lunghissimo.  Quello direzione Piacenza Rimini, pure.  Identica cosa in termini di viaggio. Chissà, oggi. A sentire le voci sagge,  si poteva andare a Bardonecchia con 7 mila lire, in due. E  a sentir i loro racconti, doveva essere davvero una bella gita. A lasciar spazio ai ricordi,  bastavano quattro biove, formaggio e fette di prosciutto, qualche succo di frutto e un plaid.  Oltre, per chi le aveva, le classiche uova sode colorate, e qualche biglietto romantico. Un augurio. Bastava poco. Appena arrivati sui monti, dopo essersi lasciati alle spalle la stazione della cittadina e alcune case a grappolo per poi imboccare la stradina centrale, via Medail, con negozi aperti,   si imbattevano in altri grappoli, questa volta “in carne ed ossa”, molto cittadini e poco attenti al fior fiore della natura. Erano quelli del primo treno. Li  si riconoscevano immediatamente. Stereo sulla spalla nell’identica posa in cui si erano  imbattuti  i nostri narratori nella stazione di Torino  Porta Nuova,  poco prima della scelta del treno. Musica a palla e   e palleggi continui con la palla, nello stesso modo in cui avevano reso il pallone uno yo-yo sotto l’atrio della stazione torinese intenti a controllare l’orologi posto sotto la volta.

Una camminata sui prati spelacchiati, a volte un po’ fangosi per lo scioglimento delle ultime nevi, intenti alla ricerca di un posto assolato. Finalmente l’arrivo, al pari di una corsa stra-cittadina. I primi raggi del sole erano loro. Ovviamente, non prima di aver zigzagato tra quelli arrivati prima e impossesatisi come i barbari degli appezzamenti di montagna lasciati liberi.  Era sufficiente una radio, con buone pile. L’era dei cellulari con radio incorporata era ancora da venire. L’importante era che le pile fossero cariche. In alternativa, un mazzo di carte. A sentir loro, era bello guardare lo sciogliersi dell’ultima neve, quella stessa neve sulla quale si era sciato pochi mesi prima, o, se non si era capaci, come probabilmente accadeva, scivolare su quell’ultima  neve che racchiudeva qualcosa di romantico come un’ultima foglia posta sull’albero; una neve che era stata tantissima e abbondantissima, con lo slittino o una specie di padella. In alternativa, una gomma, tipo salvagente. L’effetto scivolo sulla montagna era identico. A sentir loro, se ci si stufava, si scendeva, zaino in spalla, alleggerito di quelle quattro biove, formaggio e prosciutto, per una passeggiata fino al ponticello. Nel frattempo, con una buona dose di sfortuna, era sceso a far loro compagnia anche un po’ di quei mal di testa che si prendono quando si cambia aria. A volte, anche dopo l’amore.  A sentir loro,  prima di partire, si dava un’occhiata al caffè della stazione, prima di rimontare sul treno e scendere in città, e se, di quelle 7 mila lire era avanzato qualcosa, bhe, c’era posto anche per un buon caffè. Nel treno, in quei cinquanta minuti, davano anche fondo alle ultime due tavolette di cioccolata con le noccioline. Riposte le carte nello zaino, con l’effetto dondolio del treno, c’era posto anche per un abbraccio  e una buona stretta di mano. Senza vuoti a perdere.  L’amore faceva da cornice. Una Pasquetta saggia con un tramonto in una tazza. 

I saggi osservano i binari della stazione. Sorridono. Mi pare di intuire il perché. Alcuni treni  ad alta velocità, in attesa. Pochi a dire il vero.Tra uno e l’altro, spazi. Arrivi e partenze con tempi diversi. Una volta si arrivava a Bardonecchia con 7 mila lire. In due. Non molto, a dire il vero. Ma nello zaino c’era molto. Con tanto. Amore.

 

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Torino. Il Po. Corso San Maurizio. La Mole Antonelliana.
Torino. Monte dei Cappuccini.
Torino. Monte dei Cappuccini.

1 commento su “Pasquetta a Torino”

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