

Non so se sia la vicinanza della Holden e dell’aria che emana e che sei indotto a respirare a trasformare ogni pensiero in una narrazione o se davvero ogni cosa possa essere come una lampada, grattarla, e oplà…storie, personaggi e persone. In una carta d’alluminio, conservo il cibo serale. Una semplice patata. Un tubero. Allo scartare, profumo di mare. E più la scarti, come le caramelle, più ti accorgi di quanto sono dolci. E più le scarti, più rimbalzano storie. A guardarla, questa piazza… Seduto su questa panchina la osservo, la piazza, con cura, con attenzione. Ripenso a quelle mani intrecciate, che insieme attraversano la piazza e il corso della vita. La Mole, a due passi, occhieggia. La stella, in cima, indica la traiettoria. E’ bussola per il cammino. Ai suoi piedi, lettere smarrite e ritrovate, e personaggi “evaporati” e dissolti nelle nebbie. Lettere di Natale, e Natale di letterine, dissolte anche queste, “ricercate” da qualcuno. E lettera 28, di prossima pubblicazione. Ogni cubetto di porfido posto sotto i miei piedi pare un tasto, una lettera. A, S, D, F… Una enorme macchina da scrivere. Di quelle nere. Bellissime. Lo zio Vito ne possedeva una, sulla sua scrivania. Un po’ come La Stampa per un torinese, una L 28 è per un eporediese. Lui, così ligio al suo dovere, chissà quante pagelle avrà compilato con quella bellissima L 28. Una lettera 28, di Ivrea. E Ivrea significava Olivetti. La spolverava e ammirava ogni giorno. Quasi come fosse una bella ragazza. E una bella, lo è per davvero. La professoressa T. pone un foglio, bianco, sopra la tastiera, affinché gli studenti non vedano dove sono posizionati i tasti. Ci si avvia, così, lentamente, a scrivere, una pagina di storia. Forse un libro, in capo al biennio di corso. A, s, d, f, moltiplicato tre righe. Michela e Paola, sono le più brave. A ruota, seguono Riccardo e Danilo. Io, faccio come posso. A pigiarli, tutti quei tasti, sull’ immenso foglio, che si chiama piazza Castello, l'”inchiostro immaginario” comincia lentamente a colare, colorare e riempirla, la piazza, di contenuti, persone, storie, città, anni. Lentamente, lo svolgimento, del tema, prende “corpo”. Una pergamena, con qualche “bruciatura“, ma ricca di contenuti. Un bel tema. Lentamente, la srotolo e la leggo. Una storia, nella storia. Che continua a fare storia.
“Il Bicerin era pronto davanti a me, sul bancone di quel caffè storico, della città più affascinante che io abbia mai visitato. Certo erano diversi fattori a produrre quell’eco, quel richiamo, arrivato fino al mare. La promessa di una vita più solleticante. Un senso di ordine, l’assenza di frenesia, una certa eleganza. Il romanticismo. E l’accoglienza della casa di lui, di lui indaffarato a preparare un piatto di pasta di rara bontà. Sapori del Sud, genuini. E la cura. Delle sue mani guantate avvolgenti le mie, nude, per impedire al freddo di penetrare nel cuore di quell’intreccio. Della sua voce, la sera, che leggeva i passi di un libro a ripercorrere gli stessi posti di qualche ora prima. Forse voleva fissare nei miei ricordi quelle immagini, ma non sapeva che le stesse immagini non solo si erano fissate ma si erano fatte emozione, sogno, speranza, tanto da concedere alla mia mente stanca un repentino abbandono al sonno. Come una bambina avevo bisogno di essere rassicurata per dormire. Ma ancora non sapevo di quella ninnananna, davanti a quel bicerin. Faceva venire l’acquolina in bocca, un triplo strato di cioccolata, caffè e fiordilatte, perchè, si sa, la vista e il gusto vanno a braccetto. E vanno a braccetto anche con le emozioni, i sentimenti, i ricordi, piacevoli o dolorosi. Il cibo è soprattutto cibo dell’anima. Sarà per questo che quel ghiacciolo era così succoso a Superga. Incomparabilmente più squisito di qualsiasi altro ghiacciolo al limone. E sarà per questo che a volte, pur volendo ed essendo sul punto di gustare qualcosa, ci tratteniamo dal farlo. Perchè vivere, nutrirsi, amare, decidere, crescere potrebbero evocare fantasmi. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci racconti una favola. O una storia vera, magari piccola piccola ma pregna di grande valore. Lui ha continuato a raccontarmele le favole, da lontano, con un blog. Un appuntamento quotidiano con numerose e variegate storie che solo i suoi occhi potevano cogliere e anticipare. Proseguì quel giorno la passeggiata, mano nella mano, fiumi di parole che non ci eravamo forse detti, ma anche momenti di silenzioso ascolto, delle cose nuove che la città sembrava promettere a entrambi.”
La lettera di una sconosciuta è stata riposta nella biblioteca di famiglia. Questa, è la lettera di Marina. Scritta da una formidabile …L 28.