Sosteneva Sbarbaro che la finestra è “ricchezza dei poveri”, dove il povero si annette due beni, il sole e la strada. La finestra tuttavia è come una panchina: pronta per scattare in avanti, per salpare verso chissà quali mete, quale luogo. Luoghi, come macchie tra ampie solitudini, diceva Cicerone. La vera bellezza è in cielo ma anche questo mare. Chi sta alla finestra non ha mondo a sufficienza. Qui invece è Eden, mondo aperto. Zero finestre. Porta aperta. Acqua cristallina, limpida. Ricordi di infanzia. Canne, vecchie masserie e qualche filare di pomodoro, vicino a case coloniche. Vecchi ulivi e terra rossa. Fichi e pomodori “spaccati”, girati e rigirati, a raccogliere sole per un inverno lungo e duraturo. Tufi e catrame da passare su vecchie “chianche” di terrazzi bianchi. Angurie nascoste nell’acqua, in riva al mare, a renderle fresche per la merenda pomeridiana. Nonni con visi avvizziti intenti ad impartire regole a bimbi festanti. Nonni “Lacaniani”, intenti ad insegnare, magari inutilmente, la necessità delle regole e la bellezza del differimento del desiderio. Questo caldo, pero’, ha prodotto, da un po’ di tempo, “l’evaporazione” del padre. Tutto, oggi, è a portata di mano, tutto è fruibile, tranne, forse, una buona “quota” d’amore, emarginato, insieme ad una moltitudine (e la classe media), causa assenza del limite. Il tutto “fruibile” inibisce la capacità di considerare l’ Altro. E allora, pronti, via: racchettoni e palline da tennis in ogni dove.
E tanto mare da amare.